I giornalisti non sono i tuoi clienti

(Maneggiare con cura)

I giornalisti non sono clienti. Per la mia esperienza di consulente per le media relations di aziende e organizzazioni, questo aspetto non è quasi mai chiaro a chi ha intenzione di parlare con loro per la prima volta. Uno dei grandi vantaggi di fare il mio lavoro è che, avendo a che fare con decine e decine di aziende e organizzazioni diverse, si accumula una grande varietà di esperienze.

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Una posizione privilegiata dalla quale nel tempo ho visto con grande chiarezza come le persone approccino in modo diverso i media, ma quasi mai nel modo corretto. 

Giornalisti, come bisogna trattarli?

Politico, ceo, manager, personaggio pubblico, non importa quale sia il tuo ruolo. Se non hai mai fatto un Media Training, molto probabilmente il tuo approccio ai media rientra in una di queste due categorie: eccessivamente prudente o troppo compiacente. Atteggiamenti che purtroppo spesso ho riscontrato anche in professionisti che fanno il mio lavoro, ma con scarsa esperienza. Entrambi i casi non sono corretti. Nel primo, le persone sono convinte che ogni sillaba possa essere distorta e usata contro l'intervistato o l’azienda. Nel secondo, sono troppo desiderose di compiacere e non sono in grado di difendere la propria posizione e quindi il proprio standing.

Uno dei compiti di un buon Media Training è aiutarti a capire che i giornalisti vanno approcciati con una certa sensibilità e che non si tratta mai di una semplice chiacchierata.

Le interviste difensive non servono a nessuno

Se sei troppo spaventato dai rischi e non sai come gestirli, finirai per rilasciare interviste difensive, che risultano stressanti per te e soprattutto poco efficaci ai fini della comunicazione. Sono interviste caratterizzate da risposte brevi, di solito poco utili e che risultano noiose e poco interessanti. Questo tipo di approccio, se vogliamo entrare più nel dettaglio, comporta una serie di problemi di cui è bene che tu sia consapevole.

Dare risposte brevi significa rinunciare ad avere il controllo dell’intervista, perché ogni 10-15 secondi ti devi fermare e aspettare un'altra domanda. In queste situazioni, quasi sempre nel giornalista monta una frustrazione crescente, man mano che si comincia a pensare di aver sprecato il proprio tempo e di non riuscire a cavare nulla di interessante da te. Mentre parli, sta pensando che avrà difficoltà a scrivere l’intervista o a citarti e che con molta probabilità dovrà trovare un altro esperto per riuscire a completare il proprio lavoro.

Quindi sarà ancora più determinato a cercare di cavarti qualcosa di interessante e rendere le domande più ficcanti, mettendoti in difficoltà. Un circolo vizioso che può degenerare in una brutta esperienza per te e in un output finale per nulla soddisfacente.

A compiacere il giornalista rischi di dire qualcosa di stupido

All'altra estremità dello spettro, le persone compiacenti corrono il rischio di essere sfruttate dai giornalisti, perché nell’intervista si concentrano quasi solamente sul dare risposte utili a loro, dimenticando il proprio messaggio e lo scopo per il quale si trovano in quella situazione. 

Il rischio è di finire a rispondere a domande che ti allontanano dai temi centrali per te o per la tua azienda. Nel tentativo di compiacere il giornalista, potresti anche azzardare risposte su argomenti sui quali non sei abbastanza preparato oppure che non ti appartengono, finendo con il dire qualche sciocchezza che ti si ritorcerà contro. L’esperienza sul campo mi ha insegnato che in questi casi, quando l’intervistato si sente in difficoltà, esprime i concetti in modo più netto di quanto sarebbe indicato, avventurandosi su terreni scivolosi che 9 volte su 10 finiscono poi per costituire il centro della storia del giornalista. Perché tutto ciò che è netto o, meglio ancora, che tende al conflittuale funziona molto bene dal punto di vista giornalistico. Anche se non dici nulla di inappropriato, alla fine avrai comunque passato gran parte dell'intervista a parlare di qualcosa che preferiresti non vedere in rassegna stampa il giorno seguente. Un esempio classico è scivolare sulla risposta a una domanda posta in modo negativo: il giornalista chiede "Capisco che questo sia un incubo per te" e tu rispondi "Beh, è un po' un incubo, sì". Ce n’è abbastanza per un gran bel titolo l’indomani mattina! 

Il suggerimento è di essere cortese ma professionale, di restare sempre vigile e concentrato sui messaggi chiave che hai preparato per l’intervista, in modo da riuscire a riportare qualunque divagazione su un terreno dove ti senti sicuro e a tuo agio. E dove puoi risultare credibile e autorevole di fronte al giornalista e al tuo pubblico.


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