Un viaggio verso l'infinito - IL TEMPIO DI LAKSHMANA A KHAJURAHO.
Questo racconto segue la narrazione di uno dei più illustri studiosi di arte asiatica, Hiram Woodward Jr., sul significato che la ricca statuaria del tempio di Lakshmana impagina lungo i muri, i recessi, gli anditi più oscuri della sua architettura. Siamo a Khajuraho, nell'India del nord, una località nota ai più per il rimando alle ricchissima rappresentazione scultorea di ninfe e personaggi in unione sessuale, che, tra il IX e l'XI secolo ha visto la costruzione per mano della dinastia Chandella di alcuni tra i più significativi capolavori di arte nagara, oggi inseriti nella lista del patrimonio materiale UNESCO dell'umanità.
Questo racconto è nato con il desiderio di condividere una lettura articolata e complessa del patrimonio iconografico di questo tempio, attraverso una narrazione rigorosa e al tempo stesso agile. Un modo per entrare con curiosità nella pluralità di significati, nella moltitudine di immagini e nella profondità dei messaggi che l'architettura e la scultura del tempio di Lakshmana ci consegnano e mettono a disposizione per il nostro percorso personale di crescita e consapevolezza.
Due volte sono stato a Khajuraho durante i miei numerosi viaggi in India, la prima, molti anni fa, quando arrivarci richiedeva un lunghissimo trasferimento in auto, sotto un sole cocente ed il caldo asfissiante della tarda primavera, quando la notte dormii sulla terrazza di un vecchio haveli, tirando via i materassi dalle nostre stanze senza aria condizionata e le lenzuola per proteggerci dall'assalto delle zanzare; la seconda poche settimane fa, durante un viaggio lungo il percorso del Gange, immersi nell'aria mite e tersa di febbraio, al finire dell'inverno.
Presto, al termine di questo articolo, troverai il link per poter scaricare il podcast per ascoltarlo dalla mia stessa voce in ogni momento della tua giornata. Torna su questa pagina nei prossimi giorni per scaricare il tuo file audio.
Buona lettura e buon ascolto.
1. Khajuraho, templi del complesso occidentale. In primo piano il tardo Pratapeshwar mandir - 1784-1854; in secondo piano il Vishwanata mandir dedicato a Lord Siva e costruito intorno al 999-1002 d.C.
Prologo - Khajuraho e Hiram W. Woodward Jr.
Ho trovato un articolo del 1990 di Hiram W. Woodward Jr. su uno tei templi più stupefacenti di Khajuraho.
Khajuraho è il nome contratto di Kharjuravahaka, dal sanscrito kharjura, che sta per "palme da datteri", e vahaka, "colui che porta". Viene da immaginare che la piana di Khajuraho dovesse sollecitare in chi la attraversava il senso di una grande ricchezza e fertilità. Siamo nel distretto di Chhatarpur nello stato del Madhya Pradesh in India, in un luogo che è meta di un intenso turismo interno e internazionale, in larga parte dovuto alla fama che i templi indu e jaina, costruiti tra la fine del IX e la metà dell'XI secolo sotto la dinastia Chandella, si sono guadagnata come capolavori di architettura in stile nagara - quello dell'India del nord - e come palcoscenico di una ricchissima decorazione scultorea che per il ricorso ad una fedele e dettagliatissima rappresentazione di scene erotiche ha attirato l'attenzione di una vasta platea di curiosi, estimatori e studiosi.
Hiram W. Woodward Jr., il viso affilato e lo sguardo intenso e sottile da una fotografia che lo ritrae giovane docente a metà degli anni sessanta nel periodo in cui insegnava presso la Facoltà di Archeologia della Silpakorn University in Bangkok, è uno degli studiosi più influenti di arte del sud-est asiatico e curatore, dal 1986 al 2003, di una delle più importanti collezioni di arte asiatica americana, quella del Walters Arts Museum di Baltimora nello stato del Maryland; dal 2003 una cattedra con il suo nome è stata istituita alla School of Oriental and African Studies di Londra, a testimonianza evidente dell'impulso che il suo contributo ha dato agli studi sull'arte orientale.
L'articolo di cui vi parlo è stato pubblicato sul numero 19 di Ars Orientalis - per volesse leggerlo in originale è possibile trovarlo online su Jstor.org -, una rivista di studi sull'arte e archeologia del continente asiatico, incluso il Medio Oriente ed il cosiddetto mondo islamico, edita tra il 1954 ed il 2021 dal Dipartimento di Storia dell'Arte dell'Università del Michigan e dalla Freer Art Gallery della Smithsonian Institution.
La conservazione dei templi di Khajuraho, la loro integrità, la straordinarietà dell'apparato scultoreo che li arricchisce, non sono il risultato di una ordinaria storia di conservazione e tutela, almeno in tempi recenti, ma il frutto di fortunose circostanze che, nel corso dei lunghi secoli che hanno attraversato li ha salvati da spoliazioni e mutilazioni. Molta dell'architettura indu ha subito nel subcontinente indiano continui atti di castrazione e decapitazione, soprattutto per mano della moltitudine di conquistatori che, ad ondate successive, hanno occupato l'India facendone territorio di applicazione di un nuovo ordine regionale; primi fra tutti, e particolarmente feroci nella loro politica iconoclasta - se pure con non poche e molto luminose eccezioni - diversi sultanati e gli ultimi respiri del potentissimo impero Moghul.
Khajuraho in quei secoli di dominio islamico era diventata una remota regione periferica, immersa in una fitta foresta che l'ha tenuta al riparo dalle scorribande delle truppe ai comandi di questo o l'altra nuova autorità politica e militare.
Nonostante la testimonianza di Xuanzang, pellegrino cinese che nel 641 visita la regione e descrive la presenza di numerosi monasteri buddisti inattivi e una dozzina di templi indu - ben prima, quindi, dello svilupp più maturo del sito, più tardo di almeno tre secoli -, quella di Abu Rihan-al-Biruni, storico persiano al seguito delle truppe del sultano di origine afghana Mahmud di Ghazni nel 1022, e quella di ibn Battuta, il Marco Polo marocchino in viaggio tra il 1335 e il 1342 che testimonia della presenza dei templi di Khajuraho in parte già mutilati dai musulmani, i templi, per lontananza dalle principali rotte terrestri e per isolamento, sopravvivono alla sistematica campagna di distruzione degli edifici di culto non islamico ad opera di Sikandar Lodi al principio del XVI secolo.
Soltanto nel 1830 riemergono dal fitto della giungla, quando la popolazione indu guida sul sito T. S. Burt, capitano al soldo della Compagnia delle Indie, che apre all'opera di sistematica documentazione delle vestigia portata avanti da Sir Alexander Cunningham, archeologo, numismatico e ingegnere britannico ritenuto il padre ispiratore dell'Archeological Survey of India, l'ente di tutela, ricerca, studio e conservazione del patrimonio archeologico e architettonico dell'India moderna.
Oggi il sito è patrimonio UNESCO dell'umanità dal 1986, e ha visto la realizzazione di numerosi interventi di valorizzazione per effetto dei quali la foresta che l'ha protetto negli anni bui della caccia iconoclasta è stata addomesticata, preservandone piccoli lacerti che riecheggiano quella che doveva essere la sua condizione più antica e perduta, mentre un prato ben curato ed ordinato fa da tessuto su cui si sviluppa la trama dei percorsi che collegano un tempio all'altro nel corso della visita.
Degli 82 templi di cui si ha testimonianza nelle cronache a noi pervenute, a Khajuraho oggi ne sopravvivono 23, divisi in tre complessi principali, secondo la restituzione che ne diede Cunningham, uno occidentale dove sitrovano i templi indu intorno al Lakshmana, quello orientale, dove sopravvivono i templi jaina intorno al Javeri, e quello meridionale intorno al Duladeva.
2. Lakshmana mandir - costruito nel X secolo per volontà del sovrano Chandella Yashovarman.
Il Lakshmana mandir
Il Lakshmana mandir - mandir è il termine indu che si utilizza per indicare un tempio - è l'oggetto dell'articolo di Woodward ed il primo che si trova lungo il percorso di visita che si intraprende sull'area occidentale dell'intero complesso, se aveste voglia un giorno di farci visita. Woodward è ricchissimo di nozioni , rimandi e connessioni tra mondi contigui o in relazione tra loro per effetto di fitte trame culturali e politiche.
E proprio così. come ad una ricca opera cinematografica, con i suoi protagonisti, i comprimari, le scene, i sottotesti, vogliamo ricondurre il viaggio di Woodward per raccontare il significato di questo ricchissimo patrimonio d'arte e architettura, in questo incoraggiati dalle sue stesse parole, che paragonano il tempio ad uno scritto di Shakespeare o ad una sinfonia di Beethoven! Niente paura, quindi, e intraprendiamo il ostro viaggio.
La sceneggiatura del racconto che il tempio incarna, è il risultato della combinazione di diverse fonti, alcune antiche e originali, come testi della tradizione mistica e drammaturgica dell'India del nord, altre più recenti come i numerosi studi che sono stati prodotti nel secolo passato.
Tra questi ultimi il contributo di Devangana Desai, la quale ha dedicato una parte importante delle sue ricerche tra gli anni settanta e ottanta del novecento alla scultura erotica dell'India e all'apparato scultoreo dei templi di Khajuraho.
Tra i primi, invece, il tassello iniziale della sceneggiatura, quello che introduce anche i protagonisti del nostro viaggio immaginario intorno e dentro al tempio, è rappresentato dlla iscrizione dedicatoria scolpita nella pietra con la quale è costruita questa straordinaria macchina simbolica.
Nella iscrizione si dice che il tempio è stato consacrato tra il 953 ed il 954, secondo il nostro calendario, che è dedicato a Vaikuntha, la cui immagine in forma di scultura fu portata a Khajuraho dal sovrano Chandella Yasovarman attraverso una fitta rete di passaggi e donazioni a partire dal luogo della sua realizzazione, il Kashmir.
Il secondo è costituito dal Laksmi Tantra, testo della scuola Pancaratra nella sua versione kashmira, intriso di riferimenti al Kundalini Yoga - e qui non apro una parentesi che magari approfondiremo in un'altra occasione - ed alla unione sessuale con il partner, una pratica di liberazione dalle angustie della esistenza terrena.
Il terzo è il dramma allegorico in sanscrito Prabodhacandrodaya, messo in scena alla corte dei Chandella nella seconda metà dell'XI secolo, che trova eco nel tempio attraverso il suo linguaggio poetico, il ruolo assegnato al desiderio sessuale, il ricorrere di scene in cui il protagonista è un monaco jaina e la sua struttura generale che può essere immaginata come un percorso di passaggio attraverso lo spazio del tempio stesso.
Su questa sceneggiatura compaiono i protagonisti del racconto, o del dramma simbolico.
Chi sono, dunque, questi personaggi che animano la storia raccontata dal tempio di Lakshmana?
3. 4. Vaikuntha, a sinistra, e Ganesh, a destra, nel tempio Lakshmana in Kahjuraho
Primo fra tutti, Vaikuntha, il protagonista della narrazione, un protagonista incarnato in una immagine corporea che non è corpo, ciò che abita il cuore del tempio, l'antro sotto il simbolo della montagna della creazione, il motore immobile di tutte le energie cosmiche in movimento, ciò che è senza ansietà, che incarna la vera natura di ogni essere vivente. Vaikuntha è la dimora di Visnu, il luogo senza tempo, il regno eterno del paradiso, della sublimazione finale, la destinazione di ogni essere liberato. Sta lì nella oscurità del garbhagriha - vi dirò presto cos'è - protetto dalla schiera di esseri mitologici che gli fanno corona, le ninfe apsaras del cielo, gli esseri dalla testa di toro o cavallo, di cinghiale o leone, le trartarughe ed i pesci, le nagini dalle fattezze di serpente e i vyala dai corpi multiformi. Questa schiera di comparse, ciascuna con i suo ruolo, con il suo posto nella narrazione del tempio, costituisce il fondale, il canto di sottofondo di un racconto che si sviluppa all'esterno, dove viene rappresentato con una certa immediatezza il cammino che conduce a Vaikuntha attraverso le immagini dei coprotagonisti della storia.
Ogni storia ha un proprio principio ed un messaggio che la sostiene. E poiché un principio si dà con il primo passo che si mette per principiare il cammino, qui è importante riconoscere dove metterlo questo passo: a sinistra, cominciando un viaggio che è un pellegrinaggio intorno al tempio che si compie in senso orario. E una volta messo il primo passo si incontra Ganesh, la divinità con il corpo di uomo e la testa di elefante protettrice di ogni buon auspicio, colui che apre la porta al viaggio e benedice il viaggiatore.
Lungo il cammino si incontrano immagini che rappresentano la missione del nostro viaggio, ma superate quelle, nella nicchia situata sul retro del tempio, nel punto opposto al suo ingresso e che ne fissa l'asse di orientamento, la sua coordinata celeste, c'è Surya, la divinità del Sole e della Luce, che incarna il sottotessto del racconto, la liberazione attraverso la sublimazione nella luce dal peccato, dagli attaccamenti, dagli ancoraggi alla vita materiale.
Se questo è il senso, dunque, non resta che esplorare la via che conduce a Vaikuntha.
Per comprendere bene il viaggio che stiamo intraprendendo, abbiamo bisogno di un altro tassello importante, il palcoscenico e la scenografia che è stata predisposta dal nostro regista immaginario. Quella scenografia è l'architettura stessa del tempio, la sequenza di spazi e delle strutture che li conformano.
Qui dovremo introdurre alcuni termini che suoneranno nuovi a tanti, ma che sono affascinanti e che, una volta acquisiti, costituiranno un piccolo patrimonio lessicale con il quale muoversi con agilità attraverso l'immenso lascito di strutture religiose che ci sono state consegnate dalle generazioni passate in India.
Ebbene, questi termini essenziali sono: ardha-mandapa, mandapa, maha-mandapa, antarala, garbhagriha e pradakshina.
Cominciamo con lo scomporre questi nomi e riconoscerne il significato. Il mandapa è una sala, spesso pilastrata e spessissimo quadrata e coperta da un tetto a cupola o a falsa cupola. Ardha significa "metà", mentre maha, "grande". Quindi, mettendo insieme i primi termini, possiamo odire che l'ardha-mandapa è una semi-sala, una porzione di un intero, mentre il maha-mandapa è la sala grande, quella principale. Poi ci sono, ancora, l'antarala, cioè un vestibolo e il garbhagriha, cioè quello che chiameremmo in occidente e con espressione latina il "sancta santorum", il cuore del tempio, il luogo che custodisce il simbolo più sacro, l'immagine più preziosa di tutta la nostra scenografia.
5. Planimetria del Lakshmana mandir, con evidenziate le aree principali del tempio, lo spazio interstiziale interno del percorso processionale pradakshina e l'orientamento secondo gli assi cardinali.
6. Sulla facciata Sud del tempio sono evidenziate le sezioni in cui è diviso lo spazio architettonico. Ad ogni sezione interna corrisponde una struttura turrita all'esterno.
Credits: Columbia Universisty
Questi spazi sono organizzati in una sequenza ordinata che procede da est a ovest; entriamo attraverso l'ardha-mandapa, la semi-sala, attraversiamo il primo mandapa che ci introduce alla grande sala di preghiera, il maha-mandapa. Davanti a noi si apre il vestibolo, antarala, che introduce al garbhagriha, il sacello, lo scrigno che contiene il gioiello più prezioso del tempio, Vaikuntha.
Manca ancora un termine del nostro elenco, pradakshina. È essenziale per capire come muoversi all'interno del tempio. Ardha-mandapa, mandapa, maha-mandapa, antarala e garbhagriha sono allineati tra loro, perfettamente in asse, ma se volessimo raggiungere l'immagine del Vaikuntha, che sta sul fondo del garbhagriha, troveremmo sul nostro cammino una serie di ostacoli. Il primo, prima ancora di entrare nel tempio, la ripida scala di pietra che lo separa dal basamento su cui è costruito; il secondo, una bassa piattaforma quadrata su cui sono poggiate le colonne del maha-mandapa, il terzo, la soglia articolata e altissima dell'antarala che ostacola l'accesso al garbhagriha. Perché tutto questo? Perché rendere così faticoso l'accesso a Vaikuntha?
Perchè, come per ogni altra divinità indu o per ciò che essa rappresenta, il suo raggiungimento richiede un percorso rituale, di preparazione e purificazione, pradakshina, appunto! Questo è il percorso devozionale che si compie intorno al tempio, prima di entrare, e dentro il tempio, una volta entrati; e questo percorso, questo spazio vuoto da attraversare è costruito attraverso masse di strutture che gli fanno involucro; all'interno si sviluppa tra il pieno delle murature che formano il maha-mandapa, l'antarala e il garbhagriha e la pelle, l'involucro di materia, articolatissimo e denso che le avvolge; all'esterno tra questa stessa pelle e il bordo del basamento su cui sorge il tempio stesso.
Bisogna camminare, dunque, compiere questo viaggio, con gli occhi dello spirito ben aperti e pronti a leggere il copione che si dipana dinanzi a noi.
E una volta giunti dinanzi a Vaikuntha, all'abisso della liberazione più sublime, fermarsi, astenersi dall'ultimo passo, consapevoli della nostra fragilità, della condizione di viaggiatori, di esseri in continua trasformazione.
7. 8. A sinistra lo spazio del maha-mandapa con la piattaforma da cui spiccano le quattro colonne che ne sostengono la copertura;
a destra un dettaglio della ricca superficie muraria del garbhagriha e dello spazio interstiziale tra le murature dove si sviluppa il percorso processionale e devozionale pradakshina.
Il viaggio così come lo abbiamo raccontato sarebbe compiuto se avessimo con noi un cicerone che ce ne indicasse le tappe, il loro significato, il modo in cui percorrerle. Ma se non lo avessimo con noi, come faremmo ad essere consapevoli del percorso da compiere, chi ci mostrerebbe la via?
Ecco che, come nei grandi capolavori del medioevo europeo, dove per immagini si narrano gli episodi dei Vangeli o della Bibbia ad un popolo illetterato, anche qui le immagini ci vengono in soccorso. Dove? Prima di entrare nel tempio, prima di avvicinarci al percorso devozionale più vicino all'immagine di Vaikuntha, sulla pelle dell'edificio, subito dopo l'incontro con il beneaugurante Ganesh.
Lì, sulla superficie raccolta tra la protuberanza esterna del maha-mandapa e quella del garbhagriha, si dispiega la storia che ci consegna la mappa del nostro percorso.
Ed è una storia che si sviluppa in verticale, lungo le pareti che dal suolo si alzano verso la vertigine del cielo e che coinvolge i personaggi coprotagonisti del racconto, Siva, Agni, Visnu, le mithuna e gli ksapanaka.
Chi sono e come interagiscono tra loro questi personaggi?
Visnu è il conservatore della vita, Siva il Signore degli yogin, creatore di vita e distruttore, Agni è la divinità del fuoco, Signore del calore generato nelle pratiche yogiche, le mithuna sono le coppie in unione sessuale, ksapanaka gli asceti yogin jaina.
9. Dall'alto in basso, nella sezione centrale: Agni, una coppia reale in unione mistica e mithuna, la coppia in unione sessuale affiancata sulla sinistra dallo ksapanaka, l'asceta jaina.
Ebbene, Siva, Visnu e Agni presiedono ciascuno uno dei livelli in cui è tripartita la muratura esterna dell'involucro del tempio; Siva il più basso, Visnu l'intermedio e Agni il più alto. Nello ospazio interstiziale tra le due protuberanze del maha-mandapa e del garbhagriha, al livello inferiore compare la mithuna, la coppia in unione ssessuale affiancata dal ksapanaka. Nel registro intermedio la coppia reale, in unione mistica, nel terzo Agni. Ecco che l'unione sessuale, il fuoco del desiderio si accende e la kundalini-sakti si attiva, il potere della creazione che, risalendo attraverso i centri allieati lungo la colonna vertebrale, attiva l'unione mistica nell'origine. Così il ksapanaka, lo yogin jaina accende, con il desiderio ardente di unione con l'assoluto, la fiamma che brucia tutti i peccati, che si dissolvono al calore della sakti e liberano la stato di unione.
10. Mithuna, la coppia in unione sessuale, con, alla destra, l'asceta jaina ksapanaka raffigurato nell'atto sessuale come metafora del desiderio ardente che brucia il peccato che impedisce l'unione nell'assoluto.
Non soltanto di liberazione spirituale parlano le sculture che ritraggono i nostri personaggi, ma anche di società e di moti dell'animo umano.
Secondo il Laksmi-tantra tre qualità (guna) caratterizzano il mondo fisico, la purezza (sattva), l'azione e passione (rajas), l'inerzia e oscurità (tamas). Ciascuna è associata alle divinità-personaggi che abbiamo trovato nel tempio: rajas con la creazione, sattva con la conservazione, tamas con la distruzione. E ciascuna di queste qualità trova corrispondenza con il sistema delle caste, sattva con i brahmini, rajas con gli ksatrya (guerrieri e regnanti), tamas con i shudra (servitori).
Così, nella narrazione che il tempio incarna, le forze tamasiche che rappresentano il registro di Siva, quelle della pura unione sessuale, fungono da combustibile per l'accensione della passione ardente che si manifesta nell'energia rajasica dove compaiono le immagini dei regnanti. L'energia del governo, l'energia del comando e del dominio sulle forze primarie tamasiche, libera lo slancio verso la piena realizzazione spirituale, quella rappresentata dalle qualità sattviche.
E all'interno del tempio, questa scansione verticale che leggiamo sulla parete dell'involucro esterno, si proietta nel piano con un ulteriore rimando alle pratiche yogiche. Nel kundalini yoga il corpo è sede di tre condotti, uno centrale chiamato Susumna attraverso il quale ascende l'energia della kundalini, e due laterali, Pingala a destra associato con il Sole ed Agni, e l'altro Ida a sinistra associato con la Luna e Soma. Ecco che, allora, il condotto centrale, quello della suprema realizzazione si associa alla qualità suprema del sattva, e i due laterali, strumenti per attivare l'energia del condotto principale, a rajas e tamas. E così, possiamo immaginare funzioni mataforicamente il percorso devozionale all'interno del tempio: una profonda inspirazione per attivare Ida lungo la deabulazione nel pradakshina di sinistra, una profonda espirazione per attivare Pingala lungo la porzione destra del pradakshina e finalmente la lliberazione dell'energia che porta alla piena liberazione in Vaikuntha lungo l'asse centrale del tempio dove si apre lo spazio della contemplazione estatica.
11. Dettaglio della decorazione scultorea nell'angolo di sud-est del basamento del Lakshmana mandirC'è un ultimo aspetto, sul quale non ho riferimenti letterari da potervi sottoporre, ma soltanto una suggestione totalmente personale.
Questa: prima di guadagnare il piano del basamento, prima, quindi, di scegliere di cominciare il percorso che porta alla liberazione, tutt'intorno al basamento corre un fregio che rappresenta innumerevoli scene. Una in particolare, mi colpisce, sull'angolo di sud-est: una lunga sequenza nella quale si susseguono gli amplessi più articolati e sfrenati, posizioni ardite, scambi tra coppie o piuttosto rapporti multipli che, per la loro posizione, ai piedi del tempio, in uno spazio terreno lontano dalla vertigine della via che porta, attraverso la sublimazione, alla liberazione, mi fanno pensare ad un limbo dei sensi, uno spazio di perdizione e dissoluzione, un registro di inconsapevolezza dove anche il sesso con gli animali, che ivi è rappresentato, non sfugge alla manifestazione di ciò che è possibile. Mi sembra la rappresentazione più forte dello smarrimento nella pesantezza della materia, della carne, dell'oscuramento dello spirito.
Forse sbaglio, ed un'altra chiave di lettua è possibile.
A voi, farne esperienza, in un vostro viaggio, con i vostri occhi ed il vostro cuore.
Buon viaggio, dunque, e se vi va, lasciate un commento in uno dei post sulla pagina facebook de Ilmondochesei dedicati a questo articolo.
Al prossimo viaggio.
CREDITS:
questo racconto è stato scritto a partire dal contributo di Woodward, H. W. (1989). The Lakṣmaṇa Temple, Khajuraho, and Its Meanings. Ars Orientalis, 19, 27–48, che puoi leggere integralmente su jstor.
Le immagini 1., 2., 3., 7., 8., 9., 10., 11. sono dell'autore; le immagini 5. e 6. sono rielaborazioni dell'autore da originali disponibili sul web, l'immagine 4. è disponibile sul web.