Gerusalemme. Il respiro della devozione 3/3

Impressioni di un viaggio nel cuore della spiritualità del Mediterraneo

Concludiamo la pubblicazione del racconto per impressioni di un viaggio tra Israele e Palestina del 2019 - TERZA PARTE


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La prima parte di questo racconto in tre capitoli puoi leggerla qui Prima parte
La seconda parte di questo racconto in tre capitoli puli leggerla qui Seconda parte


Haram al Sharif - Spianata del Tempio

Ogni tappeto sia moschea alla tua preghiera, ogni tappeto di lana o di pietra, steso per il tuo piccolo corpo o per una comunità intera. Un tappeto che lastrica un nuovo suolo è disteso sulle rovine del tempio di Re Salomone, a Gerusalemme. Uno specchio di basole rilucenti al sole, abbagliante della luce di tutti i colori, che si apparecchia a terrazze, a podi e rampe gentili. Il passo si muove impalpabile e sospeso sulla luce che emana dal suolo, scivolando intorno alle cupole che danno dimora agli incontri tra l’uomo e lo spirito. Sulla roccia di Abramo e della legatura di Isacco, sulla polvere della preghiera di Muhammad e dell’ascensione, sul riquadro della catena di Salomone si rincorrono i padri delle profezie e dei libri sacri alle fedi che qui si intrecciano e fanno sostegno. È apparente la distanza tra gli uomini, è l’inganno di una pretesa che legge miope negli occhi e nel cuore. Una cupola d’oro grande come quella di fronte del Santo Sepolcro, voluta per dare dimora alle genti d’Islam, per aggiungere un altro sostegno alla devozione nell’unico Dio, costruita da mani operose e un pensiero che ha radici nel fare cristiano, eppure sacello per lo stesso anelito puro. Tutto si mescola qui, una tabula rasa che sta sulle fondamenta di un tempio antico che sostiene con le proprie spalle robuste i figli che corrono via cambiando di nome alle vesti. Crociati e Saraceni si danno il cambio nei secoli, lottano e affogano, riemergono e soccombono. Resta il sigillo dell’uomo, un segno di forme e colori che si legano a un tempo, che traducono in carne l’esistenza senza limiti nell’abbraccio d’eterno. Questo è il potere delle foglie che cadono alla stagione d’autunno, testimoni della vita che continua silente a scorrere nei fiori e nei frutti che l’inverno prepara a venire. E quel flusso che anima il fuoco del fare operoso che è testimone dell’abbraccio più puro alla verità del creato. Al cospetto di una cupola d’oro, senza poter varcarne la soglia, scorre in quel luogo protetto le linfa di ogni desiderio, di ogni incontro, di ogni sospiro. Restare qui fuori, contemplando il mistero, è la grazia concessa da un luogo che parla al mondo, intero.

Gerusalemme - haram al-Sharif - Cupola della Roccia e Cupola della Catena, 2008 

Filo spinato intorno alla tomba di Rachele

No, non entro, non voglio entrare qui nel sacrario che accoglie la tomba di Rachele. No, rimango qui, fuori all’aperto, ché dentro si soffoca per l’aria densa delle preghiere. Rimango qui, all’aperto di un corridoio chiuso come il budello di un vicolo cieco, guardato a vista dalle guardie che scandiscono parole d’ordine con l’altoparlante lontano dal chiuso di una cabina blindata. Sui muri di cemento liscio come le unghie spuntate che non possono scalare, come piombo fuso sulla speranza di incontrarsi senza odio, rancore, violenza, diffidenza, sospetto, rivalse. No, rimango a guardare un ulivo di pace all’ombra del cuore nero della separazione, all’ombra di un velo che copre il suo volto in attesa di un padre o un marito, seduto a sentire il vento che passa lungo una lingua d’asfalto che rimbalza sul cielo lontano graffiato dal filo spinato. Rimango qui, per ricordare un giorno di un’attesa finita, di un muro di braccia che ritornano libere e tese ad attenderti, in Pace.

Gerusalemme - attesa alla tomba di Rachele, 2019


Fondamenta - Al Muro del Pianto

Sul vascello dell’intelletto, sul punto più alto del tuo essere carne, sotto il cielo di Dio, si posa lieve e fragile la kippah, il segno del ricordo che Qualcosa è al di là dell’umano, Sapienza infinita. Leggera come un velo tessuto che segna il diaframma del respiro dell’assoluto sul capo in preghiera, si allinea in file ordinate sotto l’onda del busto che si piega al ritmo dei salmi sfiorando la pietra del grande sudario del tempio di Gerusalemme. Decine, centinaia, migliaia di piccole kippah al sole si dispongono in ordine lungo i grandi blocchi di pietra che accolgono tra le fessure dei ricorsi erosi dal tempo le preghiere, le parole di grazia e gratitudine di un popolo. I canti si ripetono da frotte di uomini che celebrano i riti della iniziazione alla vita di adulti consacrati al divino. Nel tuo silenzio di quiete, puoi chiudere gli occhi e lasciare scorrere attraverso il tuo corpo quei salmi e quei canti, abbandonarti al contatto con il luogo più sacro, scioglierti al calore che trasuda lacrime di padri e figli e nipoti. Rimanendo in silenzio nel vociare allegro della preghiera, respiri la devozione, la fedeltà, l’attaccamento ad un luogo che sta solido a sostenere la spianata di un nuovo profeta, impassibile e fiero del peso delle sue fondamenta su cui tutto poggia, da cui tutto dirama, a cui tutto ritorna.

Quando, più tardi, in un pomeriggio assolato, la nostra piccola truppa di missionari dello spirito laico, si muove dal sole assordante del muro del pianto, per trovare riparo all’ombra delle fronde dei giusti, alcuni su tutti si addentrano nell’abisso dell’orrore, lungo i cunicoli della memoria, attraverso il buio delle mille e mille luci di anime che hanno lasciato il corpo al proprio destino soffocato in una camera a gas, arso nella cenere dell’oblio, eppure instancabilmente vivo negli occhi di ogni erede di quelle miseria e lucore dell’animo umano. Mentre le voci del perdono e della libertà fluttuano in cerchio al calar della sera e tracciano il ponte con l’eterno.


Gerusalemme - Muro del Pianto, 2019

Via Sacra, Via Dolorosa

Al mattino presto, varcata la soglia che apre ad un piccolo chiostro, vengo condotto a ritirare una cassettina di legno coi manici in ferro, rustica, per raccogliere le offerte destinate ai frati della Custodia di Terra Santa, che hanno aperto le porte del Getsemani all’incontro che dà inizio alla nostra giornata. Seduti intorno ad un altare di pietra vibrano le parole del Padre Nostro, vibrano i suoni della sua lingua antica, delle origini, mentre gli occhi chiusi e sospesi lasciano spazio all’incontro con i tronchi ritorti di ulivi centenari che, figli dei testimoni di una notte di spasmi, sospiri e paure, presidiano ancora questa collina protesa di fronte alla grande spianata del tempio. È il tempo del nostro incontro con l’amicizia di un frate dal sorriso buono e l’occhio vivo che ci accompagnerà per tutto il tempo del nostro procedere lento, lungo le vie della passione. È un miracolo per il mio cuore esitante, quello che si compie in questa mattina di sole. Una piccola fiumana di compagni di viaggio, stretti lungo i muri all’ombra di banchi e venditori di memorie e ricordi, scivola al ritmo delle preghiere del figlio di Dio fatto uomo, di stazione in stazione. Le parole del Padre Nostro si alzano sussurrate tra il vociare delle camere di viaggiatori rapiti dalle forme prodotte dalle mani dell’uomo, mentre noi, assorbiti nella verità che indossa il saio dei semplici, rinnoviamo il nostro desiderio di comunità e di fratellanza. Stazione dopo stazione, nel buio di una cappella, alla luce del sole, sino all’ultima porta che schiude il brulicante rifugio dove stanno uno di fianco agli altri gli ultimi spalti della vita terrena di un uomo sulla croce di luce. Il Golgota, la roccia della deposizione, il sepolcro, tutto serrato in un teatro di figuranti che abbandonano i corpi allo scorrere dell’energia dello spirito. Mani aperte alle lacrime spargono olio ai piedi della croce sotto le lampade ardenti della Luce del Cristo. I canti si disperdono nel vociare in penombra sotto la volta stellata che raccoglie ai suoi piedi il sangue cha bagna il teschio di Adamo e che monda il primo peccato. Le candele sottili ricoprono i fianchi anneriti dal fumo del santo sepolcro sotto la cupola grigia che par di mestizia piuttosto che gloria. Sul suolo si allineano i cerchi di bianco e di nero a ricordo dell’attimo eterno in cui gli occhi di Maria Maddalena si posano sul corpo fulgente del Redentore. Tutto risuona come in un corpo vissuto, nel tuo corpo che è nato ed è morto e risorto a sua volta, per essere qui, per rinnovare a memoria, attraverso il sentire, un legame di amore e di fede che non ha più confini, che rifugge le tonache a colori, che trascende le lingue di Babilonia, che respira l’incenso che supera i mondi e respira nell’alito puro dell’essere uomini e donne e creature create dall’unico impulso di vita.


Gerusalemme - Basilica del Santo Sepolcro, 2019


Questo racconto è stato scritto al termine del viaggio di ritorno in Terra Santa, nel 2019.
Il viaggio è stato organizzato dall'Associazione Semi d'Aretè, che ha permesso all'autore di tornare in Terra Santa dopo la prima esperienza fatta nel 2008 con il Politecnico di Bari. 
Il racconto è stato trasformato in formato podcast, che è possibile ascoltare su questa piattaforma al link
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L'accesso è gratuito, basta registrarsi e ascoltare tutti i capitoli, tappa per tappa. I 13 capitoli sono sintetizzati in questo blog in tre articoli.
La prima parte di questo racconto in tre capitoli puoi leggerla qui Prima parte
La seconda parte di questo racconto in tre capitoli puli leggerla qui Seconda parte

Credits:
Foto di Claudio Rubini


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