L'articolo proposto dal Dott. Pier Luigi Postacchini, psichiatra e neuropsichiatra infantile, docente e formatore, nonchè scittore di libri, presenta il concetto di musicoterapia proponendo i temi principali e gli argomenti in un ottica clinico\terapeutica, affrontando i 'cardini' di un 'mondo' sonoro-musicale che trova nella Relazione e nella Comunicazione-non verbale LE BASI per una iniziale comprensione ed un chiarimento teorico-concettuale. Buona Lettura.
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MUSICOTERAPIA
Che cos’è e cosa si propone
Il concetto di musicoterapia ha implicazioni molto vaste, poiché si riferisce ad ambiti operativi
profondamente differenziati che non sempre hanno il concetto di terapia al centro del proprio
interesse. Più che fornire una nuova definizione cercheremo pertanto di dare una articolazione
operativa a questo ambito di lavoro. Come modello psicologico di riferimento assumeremo il
costrutto della regolazione affettiva attraverso la metodologia della osservazione diretta partecipe.
Definiremo pertanto la musicoterapia come una tecnica mediante la quale é possibile, operando con
una ben precisa metodologia di lavoro, facilitare la attuazione di un progetto di integrazione
spaziale, temporale e sociale della struttura funzionale dell’handicap (che é il CHE COSA della
nostra definizione), attraverso l’impiego del parametro musicale. Tale progetto integrativo è
realizzato da varie figure di operatori (il CHI della nostra definizione), attivi nel campo della
educazione, della riabilitazione e della psicoterapia.
In relazione al parametro musicale dovremo tenere presente molti aspetti pertinenti la
Comunicazione Non Verbale, al fine di ottenere una armonizzazione dell’identità, sia nel
rapporto tra mondo interno e mondo esterno, che nello stesso mondo interno della persona. Tale
armonizzazione é raggiunta attraverso un lavoro di sintonizzazioni affettive (é IL COME della
nostra definizione), sintonizzazioni facilitate e rese possibili attraverso strategie specifiche della
Comunicazione Non Verbale (Ricci Bitti P.E., Caterina R., 1990).
Su cosa si basa
Ci rendiamo conto della complessità di questa definizione, ma la stessa ci permette di esaminare
alcuni fondamentali concetti.
In primo luogo, secondo quanto é riferito da Bruscia (1989), nel campo della musicoterapia è
opportuno distinguere la musica In terapia rispetto alla musica Come terapia.
Nel primo caso, nel contesto di una terapia che sarà definita dal suo modello psicologico di
riferimento, (psicoanalitico, rogersiano, di rilassamento, di chiarificazione, comportamentista, di
analisi transazionale, di programmazione neurolinguistica ecc.), la musica verrà impiegata come
supporto, come ausilio ed aiuto per una facilitazione del lavoro terapeutico.
Nel secondo caso, musica come terapia, viceversa l’impiego della musica assume un ruolo
preminente e fondamentale per la costituzione ed attuazione di una relazione terapeutica.
Già questa distinzione sul piano operativo é estremamente importante.
Nel primo caso infatti ci saranno, pur nelle diverse articolazioni, notevoli sovrapposizioni anche con
il mondo dell’educazione, e comunque la musica sarà ancella di altri progetti terapeutici.
Nel secondo caso occorrerà avere una metodologia formativa ed un modello operativo articolati e
chiaramente definiti.
Inoltre, sempre secondo Bruscia, anche nella musica come terapia é possibile che la diversa
provenienza degli operatori, musicisti o terapeuti, consenta di distinguere, nel contesto di un
progetto terapeutico, situazioni nelle quali la musica assume un ruolo prioritario e privilegiato, al
punto di poter essere considerata di per sé stessa terapeutica: MUSICO-terapia, da situazioni nelle
quali la musica assume un ruolo importante di facilitazione nel contesto preminente di un lavoro
terapeutico: musico-TERAPIA.
Occorre inoltre precisare che in ogni lavoro terapeutico attuato attraverso l’arte ( la musicoterapia é
infatti soltanto un capitolo del più composito campo delle Arti-terapie ) dobbiamo distinguere un
processo estetico da un processo psicoterapico. Nel lavoro terapeutico in realtà tali processi
possono essere confusi e difficilmente distinguibili tra loro. Mentre però il processo psicoterapico
ha finalità ed obiettivi definiti dal contesto generale della terapia; il processo estetico ha sue
modalità inconscie di presentazione che consentono e rendono disponibili gratificazioni di tipo
libidico. Questo ultimo non è certo il fine precipuo della attività terapeutica, ma contribuisce a
rendere il clima del setting terapeutico particolarmente positivo e stimolante tanto per il terapeuta,
quanto per il paziente, svolgendo la funzione ed assumendo i caratteri di una vera e propria “area
transizionale” ( Winnicott, 1958).
Come viene applicato
Vediamo ora di chiarificare nei singoli punti che la compongono la definizione che abbiamo
proposto.
Se la musicoterapia è finalizzata a facilitare un progetto integrativo, tale integrazione della identità
presuppone una prima chiarificazione tra costituzione del mondo interno e costituzione del mondo
esterno, ed é attuata nello spazio, nel tempo e nelle relazioni sociali, secondo quanto definito da
Leòn e Rebeca Grimberg (1975).
L’integrazione spaziale “regola le relazioni ed il grado di coesione tra le diverse parti del Sé,
incluso il Sé corporeo; consente il confronto con gli oggetti e la possibilità di stabilire differenze;
promuove la differenziazione tra il Sé ed il non-Sé”.
L’integrazione temporale “riguarda le varie rappresentazioni del Sé nel tempo e le connessioni che
l’individuo tende a stabilire tra esse. La continuità tra tali rappresentazioni forma la base del
sentimento di essere se stessi”.
L’integrazione sociale “riguarda la connotazione sociale dell’identità ed è il risultato dei rapporti
tra aspetti del Sé e aspetti degli oggetti, rapporti che avvengono attraverso i meccanismi
dell’identificazione proiettiva ed introiettiva”.
Questo progetto di integrazione non é genericamente attuato su qualunque persona ma, secondo la
nostra definizione, sulle strutture specifiche dell’handicap che costituiscono il “Che Cosa” della
nostra relazione.
L’handicap, pertanto, va distinto dal deficit. Il deficit (o menomazione) è un dato quantitativo che
indica di quanto una persona si discosta dalla norma ideale. E’ misurato, ad es., in decibel per
l’udito, in diottrie per l’occhio, in Q.I. per le prestazioni intellettive. Possiamo considerare varie
tipologie di deficit: sensoriale, motorio, cognitivo, neuropsicologico, mentale, affettivo e sociale ( V.
Schema 3 ).
Su questa base si possono innestare vari livelli di risposte funzionali agli stimoli ed alle richieste
ambientali, risposte che nel complesso costituiscono l’handicap. L’handicap é caratterizzato da una
sua struttura-funzionale-neuropsicologica, da un tipo di apprendimento, da una modalità di relazione
oggettuale e da complicanze prevedibili e prevenibili, secondo i concetti della prevenzione
primaria, secondaria e terziaria. ( V. Schema 3 ).
Noi operiamo sulla struttura funzionale dell’handicap e l’articolazione del lavoro musicoterapico ci
consente di caratterizzarla, precisarla, conoscerla e, come vedremo, armonizzarla.
Chi lo pratica, in quali contesti
Dobbiamo vedere allora “Chi” sono gli operatori che attuano tali progetti integrativi. Possiamo
riconoscerli nel campo della educazione, in quello della riabilitazione ed in quello della terapia . I
primi saranno quindi insegnanti che non utilizzeranno la musica al fine di educare o istruire i loro
bambini o i loro soggetti, quale sarebbe un progetto di educazione musicale fondato
sull’apprendimento; viceversa avranno come fine il progetto integrativo.
Compito dei riabilitatori é quello di dare una nuova organizzazione funzionale all’handicap di cui si
occupano, stabilendo nuovi equilibri e nuovi livelli di espressione per il corpo e per il linguaggio.
Anche costoro possono a tutti gli effetti utilizzare la musica nel loro lavoro.
Nel contesto della psicoterapia vera e propria é poi possibile, utilizzare la musica, In terapia o Come
terapia. Nel primo caso i terapeuti affineranno la loro capacità di facilitare percorsi di
coscientizzazione e consapevolezza, impiegando i parametri della musica; mentre nel secondo caso
l’uso dei suoni finirà per costituire una modalità dello stesso processo terapeutico, essendo parte
integrante della relazione.
Dato che il progetto integrativo é attuato attraverso l’impiego della musica, questo vuol dire che
saranno applicati i principi della Comunicazione Non Verbale ai fondamentali parametri della
musica: intensità, ritmo, timbro, intonazione.
Ma per parametri musicali non intendiamo soltanto questi, ma anche strutture costitutive più
complesse: per esempio la complessità formale di uno stimolo, l’andamento intonativo, ascendente o
discendente, la struttura prosodica, l’agogica , la capacità di compiere analisi musicali su strutture
formali semplici o complesse: una frase, un periodo musicale, un intero movimento, cosi’ come la
possibilità di articolare una comprensione del rapporto tensione/distensione all’interno di una sola
battuta musicale, o di un intero brano, ecc.
Possiamo riferirci al concetto di Iso-sonoro musicale, postulato da Benenzon (1981), ed
esemplificato da Stefani ( 1989 ) come Iso-Gestaltico, Iso-Socioculturale ed Iso-Universale. Con
questi termini si indicano risonanze sonoro-affettive che hanno a che fare con risposte
caratteristiche di un ben determinato individuo, tipiche della sua costituzione biologica e sociale
(Iso-gestaltico); con risposte caratteristiche di un ben preciso gruppo etnico ( Iso-socioculturale);
o infine con risposte generali di qualunque individuo, ritrovabili in ogni tipo di cultura ( Isouniversale
)
All’interno dei parametri é utile anche tenere presenti i concetti proposti da Imberty ( 1988 ). La
ipotesi di questo A. , intermedia tra cognitivismo e psicoanalisi, postula l’esistenza di schemi ( in
senso Piagettiano ) cognitivi ed affettivi attraverso i quali la persona si pone in rapporto alla
struttura musicale. Questo A. descrive schemi di tensione-distensione, schemi di iconici e cinetici e
infine schemi di integrazione e disintegrazione dell’io.
Cerchiamo ora di considerare come la utilizzazione del parametro musicale consenta di ottenere una
armonizzazione ( Moretti, 1976 ) della personalità dell’individuo.
A ) Per armonizzazione intendiamo una complessa successione di eventi (e qui entriamo già nel
“Come” della nostra relazione) che riguardano in primo luogo l’armonizzazione all’interno dei
singoli analizzatori sensoriali e motori. Questo comporta l’impiego modulato e coerente di udito,
vista, gusto, olfatto, tatto, dell’analizzatore psicomotorio ed altri analizzatori quali possono essere
quelli labirintici e posturali, quelli del senso di posizione e vibratorio, quelli della sensazione del
dolore, della temperatura e della kinestesia, che costituiscono tutte modalità che devono essere
progressivamente integrate nella organizzazione mentale della persona.
B ) Per armonizzazione interna intendiamo anche il fluido passaggio tra momenti di percezione
sensoriale e momenti di elaborazione mentale, passaggio che risulta centrale per la comprensione
del nostro punto di vista sulla costituzione dei processi di simbolizzazione. Infatti é opinione
generale della teoria psicoanalitica che il passaggio tra il dato sensoriale, quindi la pura espressione
delle emozioni, ed il mentale, quindi l’acquisizione del simbolo e l’articolazione dei processi
mentali in apparati di mentalizzazione elaborativa, sia possibile soltanto attraverso una adeguata
integrazione e rappresentazione della vita affettiva. Così il corporeo può essere primitivamente
percepito in modo del tutto svincolato dai processi mentali, e quindi sentito come scisso e non
appartenente alla reale esperienza del soggetto; oppure, secondo una modalità più matura e
vantaggiosa, può venire integrato nella mente, facilitando i processi di elaborazione in una
progressiva “eclissi del corpo” ( Ferrari, 1992 ). Come esempio può essere ricordata una alternanza
tra stati di tensione e distensione muscolare. Essa può rimanere confinata al solo aspetto corporeo e
quindi avere solo il valore di un agito o movimento di scarica; oppure acquisire valore di simbolo, di
qualcosa che sta per altro, qualora sia integrata con i sentimenti e le emozioni che caratterizzano i
differenti momenti di questa percezione ed esperienza. Tale simbolo sarà poi utilizzabile in una
relazione e nella vita sociale.
E’ evidente come questi concetti, mutuati dalla osservazione-diretta-partecipe, presuppongano,
come diremo poi, l’adeguato sviluppo di una relazione che nel nostro caso sarà tanto terapeutica
quanto musicale, comprensiva quindi al suo interno della stessa componente estetica.
C ) Tutto quello che è stato fin qui esposto non può comunque prescindere da un adeguato
sviluppo relazionale. Nel nostro caso tale relazione verrà fortemente influenzata, determinata ed
orientata dall’utilizzo di parametri musicali. Ecco allora che il concetto di armonizzazione può
essere contestualizzato ad uno sviluppo relazionale assimilabile alla relazione primaria madrebambino.
Così il lavoro di armonizzazione può avvenire tra mondo interno e mondo esterno,
consentendo quelle integrazioni sociali sia di tipo cognitivo che di ordine affettivo, di cui più sopra
abbiamo accennato.
Facendo riferimento alla osservazione-diretta-partecipe, nella pratica clinica, nel lavoro formativo
degli operatori e nella supervisione dello stesso lavoro terapeutico, possiamo ipotizzare che tanto la
relazione terapeutica ( fondata sulla interpretazione della fantasia nel contesto di un setting ) quanto
la relazione musicale ( fondata sui parametri non verbali ) si possano sviluppare attraverso un
lavoro basato su sintonizzazioni di natura affettiva.
Per questo ci riferiamo ai lavori di Stern e alle ipotesi da lui formulate ( 1985 ) per spiegare il
passaggio da forme primitive di percezione ( la percezione amodale indipendente dalla specificità
dell’analizzatore sensoriale utilizzato ) fino a percezioni tipiche di una determinata modalità
sensoriale, uditiva, visiva, gustativa, olfattiva, tattile, ( percezione modale ), che possono finalmente
confluire in qualità percettive di natura sinestesica. Questi scambi tra i vari analizzatori sono
costruiti su primitivi accoppiamenti: udito-vista, tatto-udito, tatto-vista, e cosi’ via, che sono stati
descritti da Stern, risalenti fin dalle primissime fasi della relazione madre-bambino. In tale relazione
primitiva si pongono le basi percettive delle future operazioni di tipo simbolico e quindi delle
elaborazioni mentali e dei circuiti rappresentativi.
Stern postula che il rapporto empatico, del tutto incoscio, che si viene a sviluppare tra madre e
bambino sia fondato non tanto esclusivamente sull’imitazione esatta del comportamento del
bambino, quanto su trasferimenti sinestesici tra una modalità propositiva e un’altra modalità
elaborativa. Questi trasferimenti si possono verificare, per esempio, tra la proposita-vocale del
bambino e la risposta elaborativa di natura posturale-mimico-motoria della madre, che corrisponde
in questo modo alla lallazione infantile, fornendo così il presupposto per trasferimenti transmodali
tra linguaggio e tatto. Ma Stern insiste anche sulla qualità inesatta del processo imitativo e quindi
fa un richiamo alla corrispondente tematica musicale del tema ripetuto con variazioni.
Secondo questo Autore le sintonizzazioni inesatte sono gli elementi costitutivi che forniscono
stimolo e materiale per la elaborazione simbolica dei processi percettivi e sensoriali, consentendo
sia lo sviluppo di percezioni modali, a partire da quelle amodali, sia l’elaborazione di
Rappresentazioni di Interazioni Generalizzate (RIG), sia la stabilizzazione di successivi apparati
sinestesici.
Su tali basi della Comunicazione Non Verbale è possibile studiare tipici parametri musicali come
l’intensità, la velocità e la durata di un suono, pertinentizzati a ben definite modalità interattive,
appartenenti all’area del simbolismo fono-simbolico ( Dogana, 1984 ).
Vale infatti la considerazione che elevate velocità (numero di note per unità di tempo) accoppiate a
basse intensità e brevi durate, caratterizzano e definiscono piccoli suoni, cosi’ come tutto ciò che è
piccolo in generale. In questo caso siamo nel campo del fonosimbolismo sinestesico.
Ma é sufficiente che il parametro intensità, da bassa che era, venga elevata ad alta, per trasferirci,
non nel campo di suoni grandi o concetti grandi, quanto ad un altro campo fonosimbolico: cioè
all’espressione della tematica aggressiva pertinente il fonosimbolismo fisiognomico.
Stern si é molto diffuso sulle traduzioni transmodali per caratterizzare il passaggio dal percettivo
all’affettivo, a partire dalle percezioni amodali. Egli si é riferito precisamente a qualità musicali per
definire rispettivamente i profili dell’intensità, della forma, del tempo, del numero e del movimento.
Ha così ipotizzato, su basi sperimentali, la esistenza di distinti, ma anche distinguibili dal bambino,
profili di attivazione tipici di stimoli che possono essere tanto di natura uditiva, quanto visiva,
quanto tattile, quanto psicomotoria, quanto posturale e cosi’ via. Rifacendosi a queste qualità
percettive amodali l’Autore giustifica e spiega come nel processo di comunicazione attraverso la
sintonizzazione degli affetti, sia possibile tanto su base imitativa cogliere la qualità del
comportamento manifesto, la forma; quanto sulla base di sintonizzazioni affettive cogliere la
transmodalità, cioè la qualità affettiva espressa in quella forma. Ricorderemo soltanto per accenno
come Stern insista sulla modalità della percezione degli affetti che caratterizza il Senso di un Sé
emergente ( prima fase della costituzione del Sé, che precede quella del Sé nucleare, del Sé
soggettivo e del Sé verbale ), cioè del sorgere di una organizzazione, come questo A. la chiama.
All’interno di questa chiarificazione l’A. propone di distinguere la percezione amodale, di cui si è
detto, dagli atteggiamenti percettivi di tipo costruttivistico: ad es. la progressiva maturazione delle
strategie di esplorazione del volto umano, a partire dalla periferia verso il centro del volto, secondo
la tipica periodizzazione della evoluzione del progetto motorio in relazione alle stesse vicende
maturative e di sviluppo del neonato. Nel contesto della percezione amodale vanno ancora inscritte:
la percezione fisiognomica, legata a tratti comuni a suoni, colori, stati di animo, e la percezione di
affetti vitali, intesi più come modi di essere, che come contenuti. Gli affetti vitali sono descritti
come: fluttuare, svanire, trascorrere, esplodere, crescendo, decrescendo, gonfio, esaurito. Vanno
distinti dagli affetti categoriali, già ipotizzati da Darwin sulla base di corrispondenze tra
atteggiamenti mimici e sentimenti: felicità, tristezza, rabbia, paura, disgusto, sorpresa, interesse,
vergogna.
Stern inoltre precisa come il concetto di sintonizzazione, cioè di risposta risonante allo stato
affettivo di base, si differenzi dal concetto di empatia. Se da un lato l’empatia presuppone la
risonanza dello stato affettivo, che é comune tanto alle sintonizzazioni quanto all’empatia, dall’altro
lato l’empatia richiede e coinvolge processi quali: l’“astrazione della conoscenza empatica
dall’esperienza della risonanza emotiva; l’integrazione della conoscenza empatica astratta in una
risposta empatica; una transitoria identificazione di ruolo”, che non si verificano nelle
sintonizzazioni. “Le sintonizzazioni dunque vengono effettuate in larga misura al di fuori di ogni
consapevolezza e quasi automaticamente. L’empatia invece richiede la mediazione di processi
cognitivi”.
Secondo Stern é quindi possibile studiare tutte queste forme (cioè i profili di intensità, le
sincronizzazioni temporali, il ritmo, la durata, la forma di uno stimolo) nel lavoro di modulazione
espresso dalle sintonizzazioni imperfette. Vengono così definite le qualità primarie, o amodali,
dell’esperienza, costituite dalla intensità, dalla forma, dalla scansione temporale, dal movimento e
dal concetto di numero. Tali qualità facilitano e consentono il passaggio dall’unità sensoriale di
base, attraverso il lavoro sinestesico e le equivalenze transmodali, ai processi di sintonizzazione
affettiva.
Tutte le considerazioni esposte sono facilmente verificabili ed applicabili nel lavoro con parametri
sonoro-musicali, e sono comune patrimonio di esperienza per educatori, riabilitatori e psicoterapeuti
attenti e formati a cogliere la modalità di presentazionre del musicale nell’area di lavoro.
Ecco allora che l’articolazione del processo estetico e del processo terapeutico, nel passaggio tra il
sensoriale ed il mentale, attraverso l’affettivo, percorre e sottende tutto il discorso musicale. Tale
articolazione inoltre è ricostruibile a partire dalle percezioni amodali, attraverso quelle modali e
quelle sinestesiche, fino ai circuiti rappresentativi del vero e proprio discorso musicale.
A questo punto relazione (o processo) terapeutico e relazione (o processo) estetico, risultano
difficilmente distinguibili. Per noi con qualche difficoltà, anzi con notevoli difficoltà, possono essere
studiati nel progetto formativo che é finalizzato a far acquisire agli allievi, nel contesto di un
modello di riferimento legato alla metodologia della osservazione-diretta-partecipe, le tecniche che
sono quelle impiegate nel lavoro di sintonizzazione affettiva. Questo lo esamineremo nella parte
successiva della relazione dedicata alla espressione e regolazione delle emozioni, e costituisce il
nodo della lunga e difficile formazione dei musicoterapeuti orientati ad una valutazione dei
parametri musicali “in” e “come” terapia.
Questi stessi criteri dalla formazione vengono poi trasferiti al lavoro di supervisione, e questo lo
esporremo nella terza parte del nostro lavoro, venendosi così a configurare il campo specifico della
musicoterapia didattica.
Chi lo ha elaborato, in quale anno, in quale paese, in quale ambito
Benenzon R., Argentina, nell’autismo infantile,
Schmolz A., Austria,
Alvin j. Inghilterra,
Hillman Boxill E., Stati Uniti,
Verdeau Pailles J., Jost, Lecourt E., Francia.
A chi è stato rivolto
Inizialmente l'impiego della musica, con finalità che introducono il concetto di musicoterapia, si
attua in istituzioni manicomiali nelle quali sul piano empirico si riscontra un “benefico” effetto
legato all'ascolto e alla produzione musicale. Alcune applicazioni negli Stati Uniti riguardano anche
le persone che hanno subito traumi bellici.
Per quale fascia d’età
La popolazione coinvolta nelle prime esperienze definibili come musicoterapia (con una
connotazione psico-pedagogica) è costituita prevalentemente da bambini. Successivamente le
esperienze (più orientate terapeuticamente) si rivolgono anche a una popolazione adulta pur
continuando un'attenzione prevalente rivolta all'età dello sviluppo.
A quali tipi di patologie è stato allargato
Dopo le prime esperienze in ambito psichiatrico e neuropsichiatrico infantile l'applicazione della
musicoterapia si è estesa nel tempo a patologie neurologiche (ad es. il Parkinson e le demenze), agli
stati comatosi e/o vegetativi, all'ambito medico in generale (ad es. per favorire la riduzione dello
stress nelle fasi pre-chirurgiche), alle cure palliative, alle dipendenze e all'ambito del disagio. E'
importante precisare che in molte di queste applicazioni i concetti di “musica” e di “musicoterapia”
si sovrappongono.
Vari sono i metodi terapeutici e riabilitativi descritti dai differenti AA. Per una rassegna si veda
Postacchini, 1985.
Le tecniche principalmente impiegate riguardano la ritmica, la danza, il canto e l’uso degli
strumenti musicali. In qualche caso è anche possibile orientarsi nella scelta di brani musicali, ma su
questo punto occorrono cautela e precise considerazioni.
Limitandoci ad un sommario esame della patologia, diremo che essa caratterizza i gradi di
sofferenza in cui si può esprimere il comportamento patologico, sia sul piano vegetativo che
relazionale.
La nostra trattazione mantiene pertanto i tradizionali sistemi nosologici della medicina. Nostra
preoccupazione però non sarà di definire i singoli stati «malati» ed indicarne limiti e carenze,
quanto di indicare, o fornire stimoli utili, per un possibile indirizzo riabilitativo.
Per questo fine occorre partire dalle parti «sane» del paziente, cioè dalle cose che sa fare o dalle
competenze che ancora conserva, sino a poterlo rimotivare alla comunicazione sia gestuale che
ideativa, mantenendo costante il contatto e la consapevolezza delle proprie emozioni ed un libero
accesso ad un apprendimento realmente basato sulla « esperienza » (Bion, 1965).
Nel caso, viceversa, che si avesse a partire dalle parti «malate» ogni intervento sarebbe destinato a
restare un puro esercizio di tecnica o a rimanere confinato nella soddisfazione delle curiosità di
“conoscenza scientifica” del terapeuta, restando estraneo ed «esterno» per il paziente.
Distingueremo tre principali condizioni patologiche:
a) quelle somatiche in cui ad essere colpiti sono i differenti apparati;
b) quelle psico-somatiche in cui si stabiliscono le più complesse interazioni tra corporeo e
mentale;
c) quelle mentali che riguardano la vita emotiva ed i processi ideativi.
1) La patologia somatica
Essendo in questo caso interessati i differenti apparati, occorre analizzarli singolarmente.
a) Le lesioni dell’apparato scheletrico. - Causano inabilità o deformazioni a carico dei segmenti
dell’asse corporeo. Le cause sono molteplici, e possono produrre esiti a carico delle vie motorie o
sensoriali: si pensi ad es. agli esiti di traumi, patologie infettive o congenite, ecc.
La funzione motoria può essere suddivisa secondo quattro sistemi (Faglioni, 1977):
— muscolatura prossimale degli arti (cingolo scapolare e pelvico);
— muscolatura distale degli arti (gambe e braccia);
— muscolatura del tronco (o assiale) e degli occhi;
— muscolatura bocca-faccia.
E’ possibile un’applicazione differenziale di stimoli di natura sonoro-musicale nelle singole sezioni
descritte o in alcune di esse in associazione. Gli stimoli di natura non verbale costituiscono infatti
indici motivazionali alla motricità ed alla integrazione cognitiva.
Stimoli ed intonazioni adeguate possono pertanto associarsi a forme ritmiche utilizzabili nella
pratica riabilitativa. E’ infatti comune esperienza come nel ballo vengano posti in movimento vari
distretti muscolari, a seconda del ritmo che viene seguito, sino ad ottenere fini articolazioni del
movimento delle mani anche a tronco immobile (Boxberger e Cotter, 1976).
Tale approccio è utilizzabile in tutti i motulesi e nelle patologie di tipo cerebrovascolare,
degenerativo, metabolico e comunque difettuale del S.N.C. e periferico, nelle malattie muscolari ed
in quelle ortopediche. Il progetto riabilitativo va sempre rivolto all’acquisizione di idonei livelli di
adattamento funzionale che sono in accordo alla personalità globale del paziente, più che alla
nosologia del disturbo.
b) Le lesioni dermatologiche. Le più gravi malattie della pelle provocano compromissione delle
vie della sensibilità o della motricità stessa. La riabilitazione dei gravi ustionati, per stimolare il
trofismo cutaneo e favorire la motricità per scongiurare i decubiti, si avvale tanto della trance
ipnotica, quanto delle tecniche psico-musicali.
Analoghe considerazioni valgono per le forme atrofico cicatriziali dell’età senile.
c)Le lesioni cerebrali vascolari degenerative e dismetaboliche. — Nella sclerosi a placche, morbo di
Parkinson, corea di Huntigton, la musica motiva alla motricità ed influenza, acquietandole, le
discinesie incontrollabili. Con suoni e ritmi opportuni si può produrre uno stato di rilassamento
muscolare che facilita l’organizzazione posturale.
Nei pazienti con alterazioni delle funzioni corticali superiori (linguaggio, prassie, senso dello spazio
di posizione e schema corporeo) sono possibili vari tipi di riabilitazione.
Gli afasici possono oggi giovarsi di tecniche basate sul nesso tra musica e linguaggio, operando in
base ai concetti della grammatica generativa, ed essere riabilitati, utilizzando le varie componenti del
linguaggio accessibili o sottese alla comunicazione non verbale.
I disprassici ritrovano il senso dello spazio, della programmazione motoria e della immagine del
corpo con stimoli adeguati.
Il corpo può essere «evocato» nelle sue varie parti da suoni ad es. prodotti da campanelli a varie
tonalità. Sicché suoni o ritmi consentono di riconoscere singoli segmenti corporei. In gioco è solo la
fantasia del riabilitatore.
Gli agnosici possono utilizzare i codici spazio-temporali della lettura musicale, per recuperare il
senso e la dislocazione della profondità e del riconoscimento spaziale.
d) Le malattie cardio-respiratorie. — Occorre che il paziente possa collaborare per la rieducazione
funzionale alla respirazione ed al movimento. Questo interessa il grave paziente geriatrico
immobilizzato a letto, i gravi insufficienti respiratori che in generale rifiutano gli stimoli e le
prescrizioni verbali in conseguenza della loro grave depressione. La divisione musicale del tempo e
l’ascolto di melodie possono però riattivare il dialogo con il corpo.
e) I deficit sensoriali. — In questo campo i risultati sono ormai notevoli. I non vedenti trovano nella
musica uno stimolo socializzante, che consente di prevenire i frequenti «innesti» di gravi disarmonie
di personalità, ed un’azione tonica sulla motricità che è generalmente viziata da posture irrigidite e
stereotipe. Lo spazio che non è esplorabile con la vista, diviene però conoscibile con l’udito,
fornendo il senso di profondità ed i riferimenti alla posizione del corpo nell’ambiente.
I sordi possono persino recuperare il linguaggio verbale (Guberina, 1976; Croatto, 1984).
La partecipazione ad attività corali o l’apprendimento di strumenti musicali (percussioni, pianoforte),
che consentano un’analisi tattile delle vibrazioni prodotte sulla cassa armonica dello strumento,
forniscono informazioni sullo spazio sonoro ed una possibilità di orientamento di suoni e timbri sino
a poter acquisire il senso del tempo.
Lo studio e la pratica musicale consentono così di integrare altre informazioni relative all’esperienza
cognitiva del mondo esterno.
f)Le malattie terminali e dolori cronici. — Si ha ausilio sul piano motivazionale e percettivo
dall’impiego della musica.
Oltre a fornire stimolo e fattore di socializzazione, essa agisce competitivamente lungo le vie del
dolore (Melzak, 1976) o fornisce conforto più adeguato a chi, di fronte alla tragica esperienza della
morte, si appresta a tornare all’illusione del paradiso perduto che l’area della musicalità tende a
ricreare (Fornari, 1984).
2) La patologia psico-somatica
In questo campo le interazioni corpo-mente sono state descritte da Gaddini (1981). Questo A. ha
descritto il circuito patologico corpo-mente-corpo che tende a stabilizzare le condotte patologiche.
A causa di un difetto di mentalizzazione, il corpo non può trasferire nella mente vissuti e significati e
rimane condannato a riproporre costantemente a sé stesso, nel funzionamento fisiologico, la natura
dei propri stimoli.
Ferrari (1984) ha proposto uno schema interpretativo unitario per la patologia che coinvolge il
S.N.C. e che si estende anche ad alcune condizioni più tipicamente inscritte nella motricità (tabella
4).
Molti fenomeni fisiopatologici possono allora trovare una interpretazione unitaria nella teoria delle
«bilance biologiche» adattative amino-colinergiche e può esserci utile per comprendere le influenze
del suono sul piano vegetativo.
Purtroppo la psicosomatica è il campo delle pericolose mistificazioni e contraffazioni che
pretenderebbero di mettere in commercio cassette di musicoterapia contro l’ulcera o contro lo stress!
Alcuni risultati meritano di venir divulgati.
a)La pre-medicazione anestetica. — Sia nella terapia del dolore che in sala operatoria, la sistematica
applicazione dell’ascolto musicale consente di ridurre il dosaggio degli anestetici rilassando il
paziente. Anche in odontoiatria, in ginecologia nell’induzione al parto, ed in associazione
all’agopuntura.
3) La patologia mentale
Le metodologie di approccio in tali casi sono assai delicate ed articolate (Buffoli, 1984; Verdeau-
Pailles, 1976; Lecourt, 1977; Schwabe 1974).
a) Psicotici ed autistici. — Tali pazienti rifiutano spesso il contatto verbale e la musica può essere
l’unico canale di comunicazione possibile, in uno stato iniziale, e raramente per sempre.
Le prime forme di differenziazione legate al riconoscimento di una fonte sonora che non appartiene
al corpo ma è da esso separata (lo strumento) e successivamente di una fonte sonora che appartiene
al sé (la propria voce) possono consentire una lenta uscita dalla chiusura ed una apertura alla comunicazione.
Naturalmente non vanno sottovalutate le componenti regressive connesse a questo tipo di
comunicazione con pazienti tanto disgregati.
b) Schizofrenici. — L’aggressività e le angosce distruttive in tali pazienti sono molto violente. I
gruppi terapeutici che motivano all’ascolto reciproco ed alla espressione, possono costituirsi come
“esperienza transizionale” che consente la scoperta del corpo e degli stati emotivi che lo
caratterizzano. La utilizzazione di tecniche psicomusicali favorisce il riconoscimento di sé nel
reciproco riverbero di giochi verbali e musicali e nel riconoscimento della corporeità propria e degli
altri.
c) Maniacali. — Un ritmo opportunamente scelto può contenere la patologica accelerazione
psicomotoria. Tali pazienti usano dondolarsi, esprimersi con improvvisazioni verbali e canti
spontanei. L’approccio tende a contenere tali espressioni recuperando il senso del tempo e dello
spazio tanto interni che esterni.
d) Stati depressivi. — In tali casi occorre partire dallo stato di rallentamento psicomotorio e dalla
coartazione affettiva dei pazienti.
Il ritmo deve essere usato con cautela su cadenze lente che tendono a riproporre la temporalità del
vissuto somatico. Lentamente saranno esplorati i registri a partire da quelli più gravi sino a quelli più
acuti con funzione di note di abbellimento e ritmi più dinamici.
e) Nevrosi fobico-ossessive. — Tali pazienti spesso sono a tal punto concentrati sulle loro
ruminazioni del pensiero e sui dubbi da non fornire molto spazio alla riabilitazione.
Il suono può essere allora usato come fattore di decondizionamento.
Si utilizzano ritmi prodotti da strumenti a percussione, a raggruppamento variabile. Talora un certo
rilassamento può essere prodotto da timbri particolari o da “pianissimi”.
Semplici strutture melodiche o scansioni ritmiche possono consentire di spostare brevemente gli
anancasmi.
f)Disturbi del carattere. — Anche in questi pazienti falliscono le terapie verbali. Un caso particolare
costituiscono i tossicomani di cui è ben nota l’affinità con atmosfere musicali che rievocano
l’esperienza del «buco». Forti intensità e stimoli violenti e musiche che danno senso di espansione
sono predilette dai pazienti.
La riabilitazione passa però attraverso una rigida rieducazione alla pratica di gruppo, le cui regole
verbali, comportamentali, acustico-sonore, possono consentire a questi pazienti un recupero della
corporeità e la sostituzione dei desideri ai tirannici bisogni.
Valutazione di effetti in diversi contesti
Il problema della valutazione rimane per la musicoterapia irrisolto. La ricerca, infatti, soprattutto in
Italia, è piuttosto limitata e presenta lacune inerenti l'impostazione metodologica e la definizione
dei modelli applicativi. Mancano sostanzialmente indicatori di percorso standardizzati e indicatori
di esito che possano essere messi direttamente in rapporto all'intervento musicoterapico. Nonostante
ciò in letteratura si trova traccia di studi recenti che hanno una base scientifica solida e riconosciuta.
Ripercussioni in ambito familiare, scolastico o altro
Le ripercussioni in ambito familiare e scolastico riguardano la possibilità di fornire strumenti di
comunicazione/relazione ed elementi di osservazione che possono facilitare l'impiego di nuove
strategie di intervento supportate da un maggiore livello motivazionale.
Critiche
Le critiche rivolte alla musicoterapia riguardano essenzialmente la frequente assenza di
un'impostazione teorica organica e strutturata che possa costituire la base dell'intervento. Inoltre si
ravvisa sovente l'assenza di una coerenza fra teoria e prassi. Anche dal punto di vista metodologico
l'assenza di percorsi valutativi o la superficialità e inadeguatezza degli stessi costituisce un limite di
notevole portata. Unitamente a ciò anche in percorsi formativi non sono sempre garanzia di una
adeguata formazione musicale e relazionale.
Controindicazioni
L’unica vera controindicazione all’impiego della musica è costituita dai rari, ma documentati casi di
epilessia musicogena.
Data la funzione di attivazione che lo stimolo musicale ha in questo caso sulle crisi epilettiche, esso
non può venire impiegato. In tutti gli altri casi dovremo parlare di ovvie cautele (Bright, 1972).
Intensità troppo forti, note tenute troppo lunghe e contrasti troppo rapidi risultano generalmente
fastidiosi e mal tollerati dai pazienti.
Ritmi particolarmente caotici risultano irritanti per pazienti in condizione di fragilità psichica.
Negli audiolesi e traumatizzati cranici occorre scegliere opportunamente i suoni per non produrre
effetti nocivi.
Alcuni pazienti manifestano intolleranza alla musica ed occorrerà distinguere tra un atteggiamento
caratteriologico che può essere superato con la pazienza e l’esperienza del terapeuta, da condizioni di
lesioni cerebrali che producono paraacusie, cioè percezioni acustiche sgradevoli. In quest’ultimo
caso se il disturbo non scompare spontaneamente entro alcuni mesi dopo il danno cerebrovascolare, è
da ritenersi irreversibile (Postacchini, 1979).
Con pazienti molto agitati o confusi, sono in genere le attività di gruppo a non essere indicate.
Andranno pertanto precedute da un periodo di lavoro individuale.
Inoltre saranno da evitare gli strumenti a percussione il cui effetto dinamogeno aumenta lo stato di
tensione.
Con i pazienti depressi occorrono cautele sia melodiche che intonative che possano accrescere la
malinconia, mentre risultano poco gradite musiche «rumorose» o scansioni ritmiche troppo
accentate.
I 10 Benefici Scientifici dell'ASCOLTO MUSICALE
completo dei riferimenti scientifici dei casi studio riportati
Il Blog Musicoterapiaviva nasce dall'intento di divulgare condividere e rafforzare le molteplici applicazioni e gli effetti benefici della Musica e dell'intervento Musicoterapico in ambiti di cura e benessere. Scopri gli Articoli
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