Come gestire le nostre emozioni di genitori?

mettere d'accordo emozioni e razionalità


Essere genitori è un ruolo così complesso, coinvolgente, emozionante, responsabilizzante, “nutriente”, che nella nostra testa si crea una macedonia di emozioni spesso in contrasto fra loro.

Diciamo che chi ha inventato il cervello umano ha perso di vista alcuni difettucci di fabbrica che non aiutano la sopravvivenza della specie umana: avere figli è una condizione che genera le più forti emozioni che il cervello limbico possa produrre; nel contempo fare il genitore richiede equilibrio, controllo, consapevolezza e strategia.


Ora, ditemi voi, come possiamo gestire questi estremi antitetici?


Noi viviamo emozioni primarie e sentimenti complessi che raggiungono le vette dell’intensità assoluta:

- la paura, appena li percepiamo in pericolo;

- la preoccupazione, se ritardano un pochino;

- la tristezza, se loro sono tristi;

- la gioia, quando assistiamo alle loro conquiste;

- la commozione, davanti alle loro dichiarazioni d’amore;

- l’orgoglio, per i loro successi;

- la felicità per i loro sorrisi.


Se volete continuare, accolgo suggerimenti.


Non so voi, ma io questi picchi “da Everest” li vivo da quando sono diventata mamma.


Nel contempo la scienza ci dice che per crescere bene un pargolo è fondamentale mantenere la calma, pianificare le strategie con consapevolezza, evitare le reazioni impulsive, rimanere in relazione gentile anche nei momenti di difficoltà, e pure qui potrei continuare con la compilazione di una lista multichilometrica.


Quindi, come possiamo risolvere questo piccolo difettuccio di progettazione cerebrale?


Questo è un podcast che contiene qualche veloce spunto, perché ovviamente è necessario un percorso più strutturato per avere degli strumenti completi. Detto ciò, vediamo cosa possiamo fare:

1) Quella cosa chiamata emozione va accettata, perché ci sarà pure una buona ragione se si è formata. Evitate di reprimerla o di giudicarla. Altrimenti diventa ancora più potente.

2) Evitate di agire in quel momento, soprattutto in caso di emozioni tipo rabbia, frustrazione e cose simili. Non sono mai delle buone consigliere e tendono a farvi reagire con quelle parole ed azioni di cui ci si pente subito dopo. Non succede nulla se a volte abbiamo qualche reazione non proprio pedagogica, e va bene poi chiarire col proprio figlio, ma se questo processo è frequente, rischia di creare qualche inghippo relazionale con la vostra creatura. Quindi, trovate il modo di mettere in pausa la situazione, analizzarla solo successivamente, e scegliere la vostra azione solo quando la parte emotiva ha arrotondato le punte.

3) Imparate a definire l’emozione in modo funzionale. Ok, questo è un passaggio un po' più complesso e richiede informazioni più approfondite e un po' di allenamento. Vi basti sapere che ciò che provate non dipende solo da ormoni e neurotrasmettitori, ma dipende anche da come vi definite: “sono accecato dalla rabbia perché ciò che ha fatto è totalmente sbagliato” crea una sensazione diversa da “sono stupito perché avevo un’aspettativa diversa. Ora mi prendo del tempo e capisco cosa sia accaduto” (ovviamente quando spiego un concetto tendo ad estremizzare un attimino).

4) Dopo aver fatto passare il tempo necessario perché l’emozione si acquieti, cominciate ad attivare la parte razionale che vi permetta di vedere la situazione anche considerando altri punti di vista.

5) Informatevi, apprendete ed utilizzate strategie consapevoli che vi permettano di scegliere sulla base dei risultati che volete raggiungere e non solo sulla base di reazioni emotive irrazionali.


Proviamo ad immaginare un esempio in cui il nostro ragazzo rientra a casa con mezz'ora di ritardo, ovviamente col cellulare scarico. Immediatamente la paura, la preoccupazione, vabbè, a volte anche un senso di panico potrebbero impossessarsi di tutte le nostre cellule neuronali. Mentre immaginiamo scenari apocalittici e pensiamo se contattare la polizia, l'ambulanza, i vigili del fuoco e i carabinieri, o forse tutti quanti contemporaneamente, il suddetto adolescente suona il campanello: la reazione istintiva è prima di insultarlo, poi di dargli una testata, infine di abbracciarlo perché siamo felici che stia bene. Insomma, uno di quei comportamenti equilibrati di noi genitori quando siamo in preda a questo cocktail emotivo.


Supponiamo che questo sia un comportamento piuttosto frequente, quindi, alla preoccupazione si mescola una bella arrabbiatura perché non rispetta gli orari concordati:


1) Accettiamo che la nostra preoccupazione e la nostra arrabbiatura ci siano, perché è un’ovvia conseguenza del nostro amore. Accettarle non significa sfogarle. Significa solo che le sentiamo e ci diciamo che è giusto così. Non potrebbe essere altrimenti.

2) Gli diciamo che questa è una situazione che deve essere risolta. Ne parleremo più tardi. Per il momento siamo felici che stia bene, poi gli comunicheremo una soluzione.

3) Definiamo il nostro sentire come una naturale emozione d'amore, di chi si preoccupa per la creatura più importante della nostra vita.

4) È bene anche fare due passi e vedere la situazione da un altro punto di vista: quando il nostro ragazzo è fuori con amici o fidanzate e fidanzati, probabilmente non si rende conto del tempo che scorre ed inoltre non riesce a capire quanto ci si possa preoccupare. Magari proviamo a ricordarci di situazioni in cui anche noi abbiamo fatto cose simili. Attenzione: considerare il punto di vista del figlio non significa accettare il non rispetto della regola. Capire non significa accettare o accontentare. Capire il suo punto di vista significa semplicemente... capire il suo punto di vista. Ma la regola va rispettata e l’educazione al rispetto degli orari va perseguita con fermezza e autorevolezza.

5) Troviamo una soluzione educativa efficace e pratica per insegnare il rispetto degli orari.

Quando sappiamo come fare, diventa tutto più semplice e diventa anche più facile gestire i picchi emotivi.
 

Se hai voglia di conoscere, studiare, capire ed allenarti con modalità pedagogiche scientifiche ed efficaci, 

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