La scorsa settimana abbiamo parlato di urla, della loro inutilità educativa e delle loro conseguenze scomode.
Abbiamo visto che alzare la voce attiva una parte del cervello adibita all’attacco e alla difesa, mentre noi abbiamo bisogno di sollecitare la parte logico-razionale, se desideriamo che i nostri tatini capiscano ed elaborino ciò che diciamo.
Quindi?
È sufficiente parlare a bassa voce e con calma perché loro ci ascoltino, capiscano e magari pure facciano ciò che diciamo?
Se urlare non funziona, parlare con calma, per logicità, dovrebbe essere la soluzione.
Ma secondo voi, se fosse così semplice, esisterebbero i pedagogisti?
Vabbè, la faccio semplice e breve: se parlate piano e con calma, i bimbi non rispettano la regola, non smettono di fare i cosiddetti capricci, non fanno ciò che avete chiesto, ma, se parlate piano e non cedete alla rabbia:
acquisite autorevolezza
mantenete un ruolo di guida
loro vi riconoscono come adulti solidi
vedono e pian piano interiorizzano un modello equilibrato
non cadete dentro al loro subbuglio emotivo
e potete tendere una mano per aiutarli a conoscere e gestire le loro emozioni.
Io faccio spesso questo esempio e, quando serve, me lo racconto anche fra me e me: se conoscete Harry Potter, provate ad immaginare il saggio ed imperturbabile Albus Silente che comincia a perdere il controllo, ad urlare, ad avere una crisi isterica e a dire “non so più cosa debba fare con te!”
Secondo voi, avrebbe la stessa forza, la stessa autorevolezza, la stessa credibilità?
Temo proprio di no.
Anche se non è risolutivo (perché manca qualche ulteriore ingrediente), diciamo che mantenere la calma vi permette di essere un po’ più Albus e un po’ meno la Umbridge.
Ma ora proseguiamo.
Come facciamo anche a farci ascoltare?
Quali sono gli ingredienti mancanti?
1. Capite il loro punto di vista:
questo è un passaggio utilissimo per trovare il modo più efficace di comunicare e per non perdere la pazienza. Se infatti capite le ragioni del piccolo (o dell’adolescente) è più difficile arrabbiarsi. E sappiate che dietro ad ogni capriccio, ad ogni pianto, ad ogni insistenza, c’è sempre un’ottima ragione.
2. Spiegate con un linguaggio adeguato all’età:
c’è un giusto ordine delle parole per essere più persuasivi (Paolo Borzacchiello docet), e ci sono linguaggi più adatti alle varie età: se devo spiegare il valore di una regola ad un bimbo, l’utilizzo di una breve storia è assai efficace, mentre con gli adolescenti funzionano le metafore.
3. Siate brevi:
qui non c’è altro da aggiungere. Sappiate che la capacità di ascolto del vostro pargolo è significativamente inferiore rispetto alla lunghezza delle nostre prediche
4. Rimanete fermi e rigorosi nella regola:
pensate bene a cosa dire, rifletteteci e soppesate ogni promessa. Poi mantenetela ad ogni costo, perché vi giocate la vostra credibilità.
5. Se è necessario, fate vivere delle logiche e concordate conseguenze:
le parole creano l’informazione, le esperienze creano l’apprendimento. Se parliamo senza far mai vivere delle naturali conseguenze, il bimbo non può imparare.
6. Accettate la loro giusta reazione di frustrazione:
ovvio che i no, le regole e i limiti creino frustrazione. Accettatela e non cercate di evitarla. È sana ed uno dei doni piu grandi che possiamo fare ai nostri tatini. Un bimbo che conosce e sa gestire la frustrazione diventa un uomo capace di relazionarsi con gli altri, di impegnarsi, di accettare e risolvere gli ostacoli che incontra.
7. Consolateli:
se vostro figlio piange , consolatelo. Non accontentatelo, se avete dato una regola. Rimanendo rigorosi, potete comprenderlo e consolarlo. Così si crescono figli potenti.
In questo modo non aggiungete benzina nel fuoco delle loro emozioni, siete empatici, mantenete coerenza e rigore, accettate e consolate la loro frustrazione.
Questo significa essere adulti:
vedere il bimbo
accettare la sua emozione
guidarlo nell’educazione
non entrare in sfida con lui
scegliere la regola
mostrare rigore e coerenza
non confondere il rigore con la durezza
consolare il piccolo, che in quel momento sta vivendo la sua frustrazione e sta imparando a gestirla.
Tutto ciò non potrebbe accadere se anche noi cedessimo nelle emozioni reattive del momento, aggiungessimo la nostra rabbia alla sua, perdessimo il controllo, e cadessimo nello stesso vortice emotivo. A quel punto chi tirerebbe fuori entrambi?
Se non riuscite a farlo non è questione di carattere o di capacità, è una questione spesso di strategie: ci dicono di non urlare, ma non ci dicono come gestire concretamente le situazioni complicate.
Ma come sempre, la conoscenza semplifica la vita e quando sapete cosa fare diventa tutto più fluido, naturale e facile.
Non, no è una magia: è una questione di conoscenze, di strategie, e di allenamento. Esattamente come insegniamo ai nostri figli.