La mia mamma è una creatura spettacolare, che mi ha cresciuto ed amato con tutte le risorse che aveva. Ovviamente non era la migliore amica della Montessori; probabilmente il libro più impegnativo che abbia mai letto era un’edizione Harmony e quindi non aveva a disposizione tutte le informazioni di cui oggi godiamo.
Non esisteva internet o i social, ma c’erano le vicine di casa, la parrucchiera e la fruttivendola, tutte grandi dispensatrici di preziosi consigli pedagogici.
Ma in qualche modo ce l’abbiamo fatta.
Anche se forse non mi ha aiutato a sviluppare le strategie emotive più efficaci, ce l’abbiamo fatta.
Non posso avanzare critiche o recriminazioni (alle quali peraltro non credo e me ne tengo alla larga), ma... santi numi, una piccola accusa non riesco proprio a trattenerla: mia madre ha gufato. Sì, ha gufato con avanzate tecniche di malocchio di un’efficacia stupefacente.
E non ha neppure studiato alla scuola di Hogwarts: le viene proprio naturale, come un talento innato, unito a pratica e passione.
Nei momenti in cui la facevo arrabbiare, lei, stanca di reagire e consapevole che tanto otteneva scarsi risultati, mi guardava con un atteggiamento fintamente tranquillo, ma che faceva presagire sciagure gravissime, e mi diceva: “Non ti auguro nulla di cattivo nella vita; solo di avere una figlia come te”.
E io, un po’ preoccupata dal tono della voce, non ero pienamente consapevole della potenza delle sue parole. Anzi, non capivo nemmeno in che modo il suo augurio potesse assomigliare a una minaccia. Capivo che non era niente di bello dal modo in cui mi parlava, ma le parole non mi sembravano poi così gravi.
Forse mi sfuggiva qualcosa.
Mia madre ha tante qualità, fra cui la pazienza, intesa proprio come infinita capacità di attendere. Ore, anni.
Sono cresciuta. Mi sono sposata, ho procreato e finalmente… ho capito.
Ora, che cerco di educare tre pargoli impenitenti, capisco cosa significhi “avere una figlia come te”. Forse in ogni dolce mammina c’è un pezzettino di matrigna malvagia. La parte crudele della mia procreatrice ha gufato e ora mi ritrovo a vivere esattamente ciò che lei ha profetizzato: i suoi nipoti effettivamente mi assomigliano pericolosamente, con l’aggravante che il loro DNA contiene anche i geni di mio marito, che vi assicuro non hanno l’innata predisposizione all’ascolto.
Giusto per ottenere un po’ della vostra comprensione e compassione, finisco di raccontarvi la seconda parte del malocchio della suddetta nonnina fintamente innocua: “Quando diventerai mamma, capirai…”.
Anche in questo caso il mio ingenuo cervello adolescenziale non intuiva la gravità della predizione.
Ma ora so, so cosa significa essere mamma, so cosa significa avere una figlia come me.
Ma le nonnine delle fiabe non sono un po’ più caritatevoli? Dolci e gentili? Incoraggianti e consolatorie? Ne voglio subito una.
Insomma, ora so che essere genitore suscita le emozioni, i pensieri, i sentimenti più acuti e coinvolgenti. Sento di aver conosciuto l’amore che coinvolge l’anima, la preoccupazione che fa tremare le gambe, la paura che attanaglia il cuore, la gioia che sovraproduce serotonina, l’orgoglio che nutre lo spirito.
Ora so come si sente una mamma. Ora conosco intensità che prima non conoscevo. È come se i miei figli fossero dei catalizzatori di emozioni, solo che, non solo ne aumentano la velocità, ma anche l’intensità.
Nel contempo la tipa dei podcast pedagogici dice che è necessario rimanere sereni e calmi per educare bene i figli.
Ora, come mettere d’accordo le intensità emotive gufate da mia madre con l’esigenza pedagogica di essere un’asceta?
"Sabrina Salmaso: come gestire le nostre emozioni di genitori?"
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