Due settimane fa ho condiviso con voi dei podcast con registrazioni altamente professionali eseguite in luoghi perfettamente insonorizzati.
Nessun rumore di sottofondo, a parte decine di “Dusseldorfesi” che si bevevano queste mezze litrate di caffè, alla faccia del nostro espresso.
E no, i “Dusseldorfesi” non sono una razza aliena, ma sono creature che per giorni si sono sforzate con pazienza di interpretare il mio singhiozzante inglese e mi hanno fornito spiegazioni con tanto di gestualità danzanti e disegni esplicativi.
Ma all'estero succedono cose che nella propria zona intima e confortevole non accadono e soprattutto si percepisce ogni cosa con i sensi amplificati. O almeno questo succede a me.
E cosa c’entra tutto questo con la pedagogia e i figli?
Mo’ ci arrivo.
I miei scorsi viaggi a Düsseldorf sono stati più brevi: arrivavo il sabato sera, una cena con il mio splendido tatino primogenito (e per favore evitate commenti sul fatto che il suddetto tatino abbia 25 anni. Li sento) e poi un veloce ritorno nei paesi natali.
Mi è sempre stato riferito che si trattasse di una popolazione gentile, rigorosa nelle regole, ma poco sorridente.
E sapete cosa mi accadeva nelle mie “toccate e fuga”?
Che questa informazione accendeva il focus del mio SAR (sistema di attivazione reticolare) (ne parleremo nei prossimi podcast) su questa caratteristica: nei ristoranti vedevo solo camerieri molto posati, io mi comportavo in modo un po’ più rigido, loro mi rispondevano con seria gentilezza e io tornavo a casa con la convinzione che la mia etichetta fosse proprio corretta.
In questi giorni invece ho frequentato con maggiore assiduità un caffè dove stavo per almeno otto ore a lavorare (è una catena che prevede un’area business dove poter stare qualche ora col proprio pc). Le ragazze che lo gestivano sono state particolarmente gentili ed accoglienti e mi hanno fatto vivere in un clima piacevole e caldo.
Ieri, prima di andarmene, sono andata a ringraziarle. Ho detto loro (o almeno ho creduto di dir loro col mio solito inglese incerto e a tratti creativo) che l’indomani sarei tornata in Italia, e le ho ringraziate per la loro gentilezza ed accoglienza, dicendo che ero stata davvero bene nel loro bar.
Loro si sono commosse, mi hanno ringraziato a loro volta e mi hanno abbracciato.
Alla faccia della freddezza!
Ed ecco che la mia etichetta è andata in frantumi.
La sera sono andata a mangiare un boccone fuori col figlio ormai nordico (traditore) e mi sono accorta di avere un atteggiamento molto più aperto e sorridente, con conseguenti risposte aperte e solari.
Ora, il cuore di questa condivisione non è certo un'analisi dettagliata delle varie popolazioni europee.
Che sia vero o no che ci siano dei tratti caratteristici nelle varie culture non mi interessa e non è questo il luogo per dedicarsi a questi studi.
Non è neppure il luogo per disquisire su giudizi o pregiudizi; lasciamo ad altri questo onore.
Il concetto è un altro:
spesso ci troviamo immersi in convinzioni e comportamenti circolari per cui la pensiamo in un certo modo, ci comportiamo di conseguenza e stimoliamo nell'altro risposte coerenti.
E sì, capita spessissimo anche con i figli.
Pensiamo che un figlio sia ad esempio “agitato o poco rispettoso delle regole”, ci comportiamo di conseguenza e lo etichettiamo, dicendogli che non è mai tranquillo e che non ascolta mai, e lui si comporta di conseguenza. Lo dice la scienza. Sono state fatte numerose ricerche empiriche che dimostrano questa circolarità.
È una specie di magia.
Non sapete quante volte io abbia visto bambini totalmente inadeguati a scuola, con etichette, comportamenti e reazioni perfettamente coerenti con il giudizio iniziale, poi trasformarsi completamente in palestra, dove erano etichettati invece come talentuosi.
Cambiavano le convinzioni su di loro, i comportamenti nei loro confronti e quindi anche le loro risposte, che confermavano i giudici iniziali, creando un circolo virtuoso che si amplificava come una spirale.
Le convinzioni spingono il sistema di attivazione reticolare a raccogliere le prove per confermare quella convinzione, questa influisce sul nostro comportamento che a sua volta andrà a influenzare la risposta del nostro interlocutore.
Torno a casa dal lavoro con la convinzione di trovare un gran disordine in casa perché mio figlio è disordinato e menefreghista, appena entro in casa noto subito tutto ciò che è in disordine, ovviamente il comportamento è già scocciato e, anziché trovare una soluzione, brontolo come il nano nasone e gli dico che è sempre il solito, che è disordinato e non ha rispetto della mia fatica. La circolarità di azioni e reazioni immagino che la conosciate molto bene, se avete pargoli di varie taglie in giro per casa.
Anni fa seguivo alcune scuole dell’infanzia e veniva richiesto alle educatrici di fare una relazione per il ciclo di scuola successivo.
Ovviamente ne capisco il motivo, ma una parte di me era sempre piuttosto incerta sull’utilità di questa prassi perché le valutazioni spesso si trasformano in giudizi, poi in etichette e quindi in prigioni.
E non si dà la possibilità ai bambini e ai ragazzi di costruirsi ruoli diversi.
Insomma questa circolarità di convinzioni, comportamenti e reazioni è una dinamica umana presente ovunque.
Anche al lavoro: ci sono dei momenti in cui ci sembra che le cose vadano male, male nelle mansioni, male nelle relazioni, male nelle nostre emozioni. Andiamo in ufficio di malumore, non siamo certo allegri ed energici coi colleghi che ovviamente ci ricambiano con la stessa moneta, i risultati diventano un po' più arrugginiti, i nostri pensieri si fanno sempre più nuvolosi, indossiamo un paio di occhiali per cui siamo più propensi a notare gli aspetti negativi e via dicendo, in una apoteosi di energia sempre più apocalittica.
Poi improvvisamente succede qualcosa che spezza questo dramma: un nuovo cliente, una promozione, un nuovo collega, un complimento inaspettato e la dinamica comincia a cambiare rotta ed energia, producendo pensieri, comportamenti, reazioni e risultati più entusiasmanti.
Potrei continuare a citare esempi di queste dinamiche. Uno dei più tipici è la dieta: siamo convinti di farcela, ci mettiamo impegno, vediamo i risultati, ci sentiamo fichissimi, produciamo ormoni felici e motivati e continuiamo in questo percorso di esaltazione a cui manca solo una sfilata in passerella con le modelle di Victoria's Secret.
Ma poi arriva lei, la brioches, la tentatrice, e non riusciamo a resistere.
O la pizza, con tutto quel ben di Dio sopra. O la parmigiana della suocera, o quella traditrice festa di compleanno dove abbondano schifezze caloriche in ogni angolo.
Non resistiamo, mangiamo, ci sentiamo in colpa, cambiano le convinzioni, e, visto che abbiamo sgarrato, tanto vale continuare. E via con l'abbuffata, “non sarò mai in grado di mangiare bene, ho rovinato tutto, ho recuperato 22 chili in una sola giornata”. Allo specchio ci vediamo tipo la donna cannone, quindi mangiamo di più, sempre incazzati, e via con il magico cerchio dell’alimentazione ipercalorica e della bilancia nemica.
Addio al futuro in passerella.
In educazione vale lo stesso principio.
Se siete in un circolo
di etichette,
di conflitti sempre per i soliti motivi,
di brontolamenti vari che utilizzano sempre le stesse parole,
di convinzioni che questo figlio è proprio ostinato
FERMATEVI !
È ora di cambiare la direzione delle dinamiche.
È l’ora di un abbraccio commosso, è l’ora di una promozione, di un complimento, di un chilo in meno sulla bilancia.
E sì, tocca a noi genitori cambiare convinzioni, etichette e comportamenti, perché siamo noi gli adulti e non lo possono fare i bambini.
Dobbiamo farlo con consapevolezza sapendo esattamente come, cosa e perché cambiare.
Come sempre, a piccoli passi, ma con la consapevolezza lucida della direzione che desideriamo intraprendere.
Se desideri sapere come, scrivimi qui