Quando negli anni Settanta nelle case degli Italiani ha iniziato a diffondersi il videoregistratore, molti si saranno stropicciati gli occhi per la meraviglia: tra le sue provvidenziali funzioni, c'era anche la possibilità, solo premendo un tasto, di spiccare un balzo all'inizio delle pause pubblicitarie e riatterrare, non privi di soddisfazione, nel momento in cui riprendeva il nostro programma preferito.
Anche il web, nuova destinazione di ingentissimi investimenti pubblicitari, non ha tardato a trovare qualcosa che facesse le veci del videoregistratore: sono nati così gli adblocker, estensioni o applicazioni online che con tempestività nascondono i fantomatici annunci e impediscono la partenza dei fastidiosi video che appaiono sulle pagine web non appena vengono aperte.
Ecco l'ironico spot che Adobe ha dedicato agli innumerevoli ostacoli che separano l'utente dal contenuto di cui ha bisogno.
In rapida ascesa, gli adblocker oggi superano i 200 milioni di download globali e, se gli utenti non devono sborsare un centesimo per ottenerli, costano cari agli editori dei siti sui quali gli annunci fissi e i video non vengono visualizzati, oltre che ai brand che nella pubblicità online investono e all'industria che la produce e vende.
Tra gli annunci considerati più fastidiosi e che aumentano notevolmente le probabilità che un utente decida di dotarsi di adblocker, ci sono i pre-roll, ossia le clip che precedono l'esecuzione del video al quale il navigante è effettivamente interessato (Bradley Jakeman, executive di PepsiCo, li ha definiti "inquinanti").
Ma gli utenti sono davvero totalmente e ciecamente avversi a qualsiasi video pubblicitario presente online? Buona notizia per l'industria pubblicitaria e connessi: per la maggior parte, no. La questione, quindi, risiede nel riuscire a inserire contenuti che non infastidiscano i naviganti e, perché no, possano anche risultare utili o piacevoli.
Come farlo? Ogni buon esperto di video strategy recita la formula magica: "Content is king, but distribution is queen". Seguendone la scia, Donatella Urrai di Teads propone tre regole d'oro. La prima suggerisce che ogni contenuto sia calibrato in base al dispositivo che deve accoglierlo (e il mobile è di importanza centrale) e all'audience che andrà a raggiungere.
La seconda regola parla di viewability: sembra banale dire che l'advertising online deve davvero godere di visibilità, eppure solo il 26% degli utenti che entrano a contatto con un video pubblicitario sul web lo guarda interamente. Infine, i contenuti del video devono essere adatti al contesto in cui vengono collocati e coinvolgere, anche attivamente, il navigatore, senza risultare fastidiosi e ispirare quindi un sentimento negativo nei confronti del brand.
Non sono infatti solo gli utenti a essere penalizzati nella loro user experience da video pubblicitari troppo molesti: sono anche le marche pubblicizzate e gli stessi siti che le ospitano a risentirne. E nel momento in cui l'industria pubblicitaria non si preoccupa del benessere internettiano dei consumatori, ne paga le conseguenze: l'utente infastidito che trova un adblocker trova un tesoro.