I Social Media e il digitale hanno rivoluzionato il fare pubblicità, perché finalmente si può arrivare al potenziale consumatore giusto, al posto giusto, e al momento giusto. Vero?
Sì. Ma se è vero, allora questo implica anche una grande responsabilità per chi fa advertising, ovvero quella di capire quanto e in che modo si arriva al proprio target, e quali sono i suoi comportamenti successivi.
Facebook, un mercato da 1,3 miliardi di persone, può essere la più accessibile vetrina per il proprio business. Lo hanno capito le imprese, ma lo ha capito soprattutto Facebook stesso, che vuole dare alle prime i più accurati strumenti per misurare la loro visibilità, e per scegliere la strategia che più fa al caso loro.
È anche una questione di adattamento, nell'affrontare la propria campagna pubblicitaria. Perché se è vero che per il digitale non vale più l'affidabilità dei GRP di televisiva memoria, è anche vero che non è facile valutare la più efficace metrica con cui pesare – e pagare – la propria esposizione. Indicatori come il CTR (Clickthrough rate), il CPM (le impressions), il CPA (costo per azione), hanno un ovvio limite interno, e cioè che i click e le impressions non sono certo garanzia automatica di revenues.
Non bastasse questo, sono anche messi in crisi dall'ormai consolidata fruizione in multiscreen di noi utenti consumatori, che ci spostiamo tra mobile, pc e tablet, così che i cookies non riescono a starci dietro.
Cosa contraddistingue quindi Facebook nel media mix a disposizione dei marketers?
La risposta – come spiegato da Stefano Cirillo, Regional Measurement Lead di Facebook per Italia e Iberia – corre sul filo delle R: Reach, Resonance, Reaction.
In ognuno di questi ambiti, la chiave di volta sta nella risorsa più preziosa del social per eccellenza: gli insights; un'invidiabile mole di dati dettagliata al centimetro; o meglio, alla persona.
Un'accuratezza capace di permettere la massima estensione del messaggio proprio nei segmenti su cui ci si concentra, con l'invidiabile possibilità di sfruttare gli interessi degli utenti, non solo esplicitamente dichiarati, ma anche desunti dalle loro attività social.
E maggiore è la reach, più sarà possibile intervenire sulla resonance, considerando che Facebook è in grado di stabilire con certezza chi è stato esposto a un determinato messaggio, per quante volte e per quanto tempo (soprattutto nel caso dei video, supporto sempre più in crescita).
Se tutto questo ha raggiunto un obiettivo (in termini di vendita o di altro tipo), sarà possibile scoprirlo con un controllo incrociato sulle reactions, andando a quantificare la differenza di comportamento tra gruppi di target che sono stati esposti a una campagna su tutti i media escluso Facebook, e tra quelli esposti anche sul social.
E se non è abbastanza, basti pensare all'introduzione di Atlas, la piattaforma che permette di bypassare l'inaffidabilità dei cookies di cui abbiamo detto, tracciando la navigazione degli utenti sulla rete mentre sono "loggati" su Facebook, da qualsiasi device.
Questa attenzione ci fa capire quanto Zuckerberg e soci abbiano deciso di puntare su un rapporto sempre più compenetrato e certificato con gli inserzionisti, per imporsi come media di riferimento.
Consumatori, forse ora è un po' più facile venirvi a prendere!