Alcuni la chiamano "l'anima del commercio", altri "réclam" per darle un tocco vintage, per altri ancora è un'arte a tutti gli effetti: la pubblicità resta una delle forme di comunicazione culturalmente più interessanti, specchio dei tempi, capace di evolversi e adattarsi ai media in modo proteiforme. Discutere di pubblicità significa analizzare la sua natura bifronte, informativa e persuasiva, e cercare di capire quale di questi due aspetti debba prevalere, sapendo già in partenza che etica ed estetica raramente vanno d'accordo: e non si tratta solo di discettare di carismatiche teorie visto che tra questi due estremi si trovano interessi importanti quali la tutela del consumatore, la correttezza verso le altre aziende e rispetto della concorrenzialità nel mercato.
Il nostro paese si è dotato dal 1966 di un Istituto di Autodisciplina Pubbblicitaria, un ente privato che, mediante un codice e relativi regolamenti, dirime le questioni relative a messaggi pubblicitari che possano mostrare elementi di scorrettezza, offensività e disonestà intellettuale. Si tratta di un Istituto parallelo alla giustizia ordinaria che per struttura e rapidità si pone come un valido strumento per risolvere questo tipo di problemi: istituti come questi sono infatti fortemente incoraggiati dall'Unione Europea perchè evitano azioni giudiziarie e ricorsi amministrativi alleggerendo i compiti del sistema giudiziario nazionale (si veda la DIRETTIVA EUROPEA 450/84 in tema di Istituti di Autodisciplina).
L'IAP si costituisce al suo interno di due organi, il Comitato di Controllo e un Giurì: entrambi sono composti da membri esperti del settore, per lo più giuristi e professori universitari ma che, per garantire imparzialità, non esercitano la loro attività professionale in materia di autodisciplina della comunicazione. Il primo organo si occupa di supervisionare le comunicazioni pubblicitarie in diffusione e il secondo di dirimere controversie in caso si riscontrino elementi di difformità dal Codice di Autodisciplina: l'azione del Giurì, che scaturisce su segnalazione del comitato, ma anche di privati cittadini, si svolge con grande rapidità e in circa 8-12 gg lavorativi riesce a deliberare. Inoltre, ha al suo interno sistemi di "pesi e contrappesi" come la possibilità di emettere, se richiesto, parere preventivo sulla liceità di una determinata campagna in uscita, oppure la tutela della primogenitura di un concept pubblicitario (pre-emption). Infine l'adesione a questo codice da parte della quasi totalità delle concessionarie di pubblicità, degli inserzionisti, agenzie e associazioni di professionisti della comunicazione, dota l'IAP della necessaria autorevolezza per rendere le proprie delibere vincolanti.
La pubblicità infatti è divenuta così pervasiva e sofisticata da avere quasi una funzione reificante (se lo dice la pubblicità allora è vero, se lo dice la pubblicità allora esiste) che rileva non solo su un piano di libertà di espressione o di concorrenza, ma anche ai fini dei rapporti giuridici fra l'impresa e i propri clienti (Per approfondire si può vedere "La libertà di epressione" di V.Z. Zencovich).
Se da un punto di vista giuridico, dunque, il quadro è molto delicato e un istituto come l'IAP svolge una funzione vitale per il corretto funzionamento del sistema, è altrettanto vero che da un punto di vista sociologico ed estetico lo "statuto" semiotico della pubblicità non cessa di destare grande interesse: vi sono esempi storici di come sia stato possibile giocare con la il linguaggio pubblicitario per dire farne ironia, oppure per uscire dall'arena del marketing e incidere direttamente nel sentire comune.
Uno degli esempi più divertenti è costituito dal CACAO MERAVIGLIAO, il fake sponsor della trasmissione di Renzo Arbore, Indietro tutta. Ancora, sono ormai note le campagne trasgressive di Oliviero Toscani, talvolta di dubbio gusto, però capaci di destare dibattiti su temi come l'omosessualità, il razzismo e l'anoressia.
E voi che ne pensate?