Genitorialità ad alto contatto: la scienza dell'amore e dell'attaccamento

Per il neonato, e per i bambini di ogni età aggiungerei, è di fondamentale importanza il contatto fisico con la madre o con la figura di cura di riferimento

Di questi tempi parlare di contatto tra persone fa venire alla mente soltanto scenari tristi e nostalgia di strette di mano e abbracci privi di remore.

Qui però parliamo di contatto genitore/figli* e quello non verrebbe a nessuno in mente di vietarlo. Eppure capita di sentire consigli del tipo: “Se il bimbo piange, lascialo sfogare nella sua culla, non puoi intervenire al primo vagito, altrimenti cresce sù mammone e viziato”.

Mio dio, mi si torcono le budella al solo pensiero. Eppure non è un retaggio antico, capita ancora di sentire perle di questo tipo.

Avete mai sentito parlare di genitorialità ad alto contatto?

Per il neonato, e per i bambini di ogni età aggiungerei, è di fondamentale importanza il contatto fisico con la madre o con la figura di cura di riferimento, questo non per semplice affetto (che pure basterebbe come motivazione!) ma per la sua evoluzione fisica e psichica.

Studi autorevoli parlano dell’importanza della fase chiamata esogestazione, il tempo cioè necessario affinché il bambino completi il suo sviluppo al di fuori del grembo materno.

In questa fase diventa di fondamentale importanza garantire al bambino o alla bambina non solo le quotidiane azioni di cura ma anche un contatto stretto e continuo con i caregiver di riferimento.

La teoria alla base della genitorialità ad alto contatto risale alla fine degli anni Sessanta ed è quella del attachment parenting di John Bowlby, psicolo­go e psicoanalista britannico.

Secondo Bowlby i bisogni specifici dei bambini vanno assecondati e soddisfatti in maniera adeguata, questo permetterà ai piccoli cuccioli di crescere e acquisire autonomia  e fiducia in se stessi. 

In pratica cosa bisogna fare per essere genitori ad alto contatto?

Niente di più e niente di meno di quello a cui il neonato è stato abituato durante la fase della gestazione.

E quindi garantire: cibo, calore e contatto fisico.

Nella pratica quotidiana questo si traduce in: 

  • allattamento a richiesta, soddisfare il bisogno di cibo del bambino senza attendere necessariamente tempi preimpostati e decisi a tavolino da regole che non seguono i reali bisogni del bambino, che variano ovviamente da soggetto a soggetto e nei vari momenti della giornata (e della nottata!);

  • baby-carrying, portare i piccoli in fascia e non costringerli in culle e passeggini, almeno nei primi mesi di vita e con ancora maggior efficacia con bambini e bambine nat* prematur*;

  • co-sleeping, sì, dormire tutti nel lettone fa bene al piccolo, fa bene alla madre e per quanto possa sembrare strano non va assolutamente contro la ripresa di una vita di coppia felice e tranquilla; passare notti serene senza pianti e risvegli bruschi, seguendo i naturali bisogni del/la neonat* permette di ritrovare calma e serenità che non potrà che fare bene a tutta la famiglia!

La genitorialità ad alto contatto soprattutto prevede un approccio dolce e gentile, privo di punizioni e urla. 

Ci sono molti vantaggi nell'essere genitori ad alto contatto. 

Contribuisce a rafforzare il legame tra genitore e figli*. Aiuta i bambini a sentirsi sicuri e amati, aumentando la loro autostima e fiducia in se stessi. La genitorialità ad alto contatto permette di mettere in pratica quell’allenamento emotivo di cui abbiamo parlato in un altro articolo del blog (lo trovi qui) e contribuisce ad aiutare i bambini a sviluppare migliori abilità sociali e ad interagire con gli altri nel rispetto di se stessi e di chi sta loro intorno. Permette di esprimere le proprie emozioni, sviluppando quell’intelligenza emotiva così importante per crescere donne e uomini forti ed empatici (di empatia e di come va coltivata abbiamo parlato qui).

Commenti

Devi effettuare il login per poter commentare